La dissonanza cognitiva e l’equilibrio psicologico nel processo d’acquisto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’equilibrio cognitivo del cliente nelle situazioni d’acquisto

L’equilibrio interno della persona, in termini psicologici (tra opinioni possedute ed espresse, tra azioni e atteggiamenti, e tra i diversi atteggiamenti concatenati), è una necessità  per la stabilità emotiva e per la qualità della vita. 

Ogni persona ha la necessità di possedere un equilibrio psicologico, anche in relazione alle valutazioni e alle scelte di acquisto. La presenza di valutazioni miste, cioè la compresenza di valutazioni sia positive che negative – può portare il soggetto ad uno stato di dissonanza interna – teorizzato nella letteratura psicologica classica come dissonanza cognitiva.

La dissonanza cognitiva è uno stato mentale che avviene ogniqualvolta una persona prova pulsioni tra di loro contrastanti, emozioni di opposta natura, desideri tra di loro antitetici, o si trova a doversi comportare in modo difforme dai propri valori. Le scelte di acquisto sono tra i comportamenti che più sottostanno alle leggi della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo.

Non è possibile acquistare tranquillamente un prodotto se questo è fortemente contrastante con i valori della persona. Un prodotto può avere alcune componenti gradevoli ed altre assolutamente indesiderabili. Ad esempio, un ecologista che consideri di acquistare un profumo per lui o lei molto gradevole, si trova in dissonanza cognitiva se viene a conoscenza del fatto che esso è stato testato su animali.

Ancora, può accadere che il gradimento e le preferenze di acquisto di un individuo vadano in direzione opposta alle aspettative dei gruppi di riferimento, le persone per lui importanti: la famiglia, o gli amici, o i colleghi di lavoro, o altri gruppi sociali che contano nella sua vita. Anche questi casi creano dissonanza cognitiva. Ogni azione, comportamento, valore, atteggiamento, ha connessioni con altre azioni, valori, comportamenti, atteggiamenti. Mantenere equilibrio in un reticolo così complesso è un compito difficile.

Tra le aree di più forte interesse nel campo della dissonanza, vi è quella delle contraddizioni tra pulsioni primarie (istintuali, non inibite, impulsive, di natura spesso inconscia) e le pulsioni secondarie, frutto dei doveri, delle norme, della cultura radicata nell’individuo[1].

I lavori di Heider (1946, 1958)[1] nell’area della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo hanno prodotto modelli di ampia portata, utilizzabili anche nello studio dei processi di acquisto.

La tensione di cui parla Heider è stata sperimentata da tutti noi, ogniqualvolta ci siamo confrontati con scelte difficili relative ad un acquisto. Ad esempio, acquistare un abito desiderato ma troppo costoso a discapito di altri utilizzi del denaro, oppure un acquisto che sia in grado di generare discordia: l’acquisto di una minigonna eccessivamente corta da parte di una adolescente, ben sapendo che essa sarebbe stata mal digerita dalla famiglia. Oppure l’acquisto aziendale di beni da un fornitore sgradito, ma imposto da equilibri politici della direzione. 

Tra le strategie aziendali di riduzione della dissonanza ha un posto importante la comunicazione post-vendita, che deve tranquillizzare l’acquirente della bontà della scelta effettuata. Ogni atto di vendita importante deve essere seguito da messaggi rassicuranti, affinché venga meno la dissonanza post-vendita

Le applicazioni di marketing della teorie sulla dissonanza trovano un terreno applicativo enorme nella ponderazione dell’acquisto svolta dal cliente e nelle dinamiche che avvengono durante la trattativa di vendita.

Quando si determinano dissonanze interne nel cliente, l’individuo cercherà di ridurre lo stato di tensione, che è sempre in qualche misura doloroso. 

Un passo importante per la comprensione di questi comportamenti è dato dal riconoscere che il comportamento manifesto, quello messo in atto dalle persone giorno dopo giorno, è il risultato di una diversa serie di pulsioni complesse, anche tra di loro contraddittorie. Capire queste relazioni richiede (1) studio analitico, e (2) possibilità di disporre, collocare, visualizzare i rapporti di forza tra variabili su un media idoneo (carta, PC, o altri formati).

Le dinamiche della dissonanza cognitiva sono al centro dell’analisi del processo persuasivo. Infatti, solo la percezione di una dissonanza è in grado di aprire il varco al cambiamento di atteggiamento duraturo. L’intensità della dissonanza percepita è correlata alla necessità dell’individuo di ritrovare un equilibrio. Al crescere della dissonanza, cresce la necessità di trovare soluzioni. Il marketing cognitivo, basato sulla percezione delle dissonanze e successiva risoluzione, è la chiave strategica per la vendita dei servizi innovativi e intangibili (formazione manageriale, ricerca di mercato, interventi di sviluppo della comunicazione).

Principio – Ridefinizione cognitiva e cambiamento degli equilibri psicologici (rottura-ricostruzione)

  • Ogni acquisto o cambiamento è influenzato dagli schemi cognitivi preesistenti. 
  • Gli schemi cognitivi agiscono in background nel cliente, a livello subconscio e inconscio.
  • L’acquisto di innovazione o il cambiamento comportamentale richiede la presa di coscienza nel soggetto (cliente o buyer) che gli schemi utilizzati precedentemente non sono più adeguati a fronteggiare i bisogni, gli scenari, i nuovi obiettivi o traguardi.
  • Il venditore o consulente può fungere da elemento in grado di scardinare gli schemi preesistenti, tramite tecniche che generano riflessione profonda nel cliente,  rivisitazione e presa di coscienza di schemi cognitivi errati.
  • L’atto di acquisto di prodotti e servizi innovativi –  non rientranti negli schemi preesistenti, o distanti concettualmente dal cliente – deve essere preceduto dalla rottura degli equilibri preesistenti (presa di coscienza).
  • La presa di coscienza che gli equilibri preesistenti non sono più adeguati apre la strada all’inserimento di nuovi comportamenti e atteggiamenti di acquisto, nei quali i prodotti/servizi innovativi possono trovare spazi e fungere da elementi riequilibratori.

Misurazione degli atteggiamenti e immagine del marchio

La misurazione quantitativa degli atteggiamenti verso il prodotto può essere effettuata con due classi di tecniche: metodi quantitativi e metodi qualitativi. La misurazione su base quantitativa segue alcune linee guida generali:

Linee guida per la realizzazione di ricerche quantitative sull’immagine

  • brainstorming[2] e desk-work[3]: Una prima fase qualitativa in cui viene costruito un modello preliminare, che contiene le componenti ipotizzate di atteggiamento sul prodotto. Il lavoro avviene tramite riunioni, analisi della letteratura e studio teorico del problema;
  • pretest: Il modello preliminare viene testato sul campo, tramite ricerca empirica (pretest) per poterlo tarare e migliorare;
  • campionamento: Viene selezionato statisticamente un campione rappresentativo della popolazione che si intende studiare;
  • raccolta dati: vengono realizzate interviste sul campione;
  • elaborazione: I dati raccolti vengono immessi su PC. Le diverse misurazioni sono elaborate statisticamente: la ponderazione delle diverse componenti di atteggiamento restituisce un immagine complessiva della valutazione di prodotto, rappresentata in forma di grafici e tabelle contenenti dati e indicatori statistici;
  • interpretazione: I risultati in formato grafico e tabellare vengono analizzati managerialmente, alla ricerca delle implicazioni per l’azienda e le sue strategie. Viene verificata ulteriormente la validità e affidabilità della metodologia di ricerca, per non rischiare di basare le strategie su dati errati o viziati;
  • implementazione: Dall’interpretazione vengono derivate le strategie (se i dati sono sufficienti a risolvere il problema o prendere la decisione), o viene stabilito di intraprendere ulteriori ricerche utili a far luce sul problema e prendere la decisione giusta

Questa procedura minima si basa su un approccio quantitativo e correlazionale alla misurazione degli atteggiamenti, basato sulla “rilevazione dell’esistente”.

Le ricerche sperimentali (basate su gruppi di controllo) vengono invece utilizzate per valutare quale impatto sull’immagine aziendale possono determinare specifiche modifiche (es: cambiamento di logo o packaging).

La misurazione qualitativa degli atteggiamenti richiede invece l’intervento di esperti in psicologia del profondo e tecniche di intervista psicologica, con il compito arduo, ma raggiungibile, di ricostruire il belief system del soggetto, e capire il ruolo del prodotto al suo interno. Il risultato di tale lavoro di indagine possiede una forte valenza strategica: permette di avviare azioni comunicative ad alto impatto, e di compiere un salto di qualità a livello di progettazione dei nuovi prodotti.

L’azione più incisiva in assoluto proviene dall’utilizzo combinato delle tre tecniche (correlazionale, sperimentale e in profondità).

Errori di misurazione degli atteggiamenti

Esistono diverse possibilità di errore nella misurazione, sia (a) legate al modello teorico adottato che (b) dipendenti dal metodo di rilevazione e da errori pratici accaduti durante la misurazione. 

Costituiscono elementi di errore imputabili al modello l’aver sottovalutato un fattore non inserendolo nel questionario, o aver inserito elementi inutili, aver utilizzato teorie sbagliate, o ipotesi di nessun valore predittivo. Gli errori del modello sono quindi errori fondamentali della teoria su cui si basa il lavoro di misurazione.

Sono da attribuire al metodo errori come il porre il soggetto in condizioni psicologiche sfavorevoli (ad esempio, chiedere ad un soggetto il suo grado di soddisfazione lavorativa in presenza del diretto superiore), o presupporre nella persona una consapevolezza che non esiste, valutare qualcosa del tutto estraneo per il soggetto (chiedere di valutare il potere benefico del ginseng ad una persona che non sappia cosa sia il ginseng), o ancora codificare male i dati statistici (errori di battitura e inserimento dati), o produrre manipolazioni sbagliate sul file (inversione di righe, ordinamenti alfabetici errati, confusione di codici).

L’impatto delle parole sulla percezione del consumatore

Come misurare l’immagine che generiamo negli altri? Come valutare l’immagine di un prodotto o di un marchio, per verificare se sono conformi a quanto dovrebbero? 

Le pulsioni d’acquisto nascono ogni qualvolta un profilo percepito di prodotto combacia con un’immagine ricercata. È quindi importante riuscire a misurare sia l’immagine desiderata che l’immagine percepita.

Il potere evocativo delle parole e l’immagine associata ai marchi è alla base di molti successi o fallimenti di mercato. La misurazione dei simbolismi, delle loro connotazioni semantiche e delle loro ripercussioni sulle vendite è una delle tecniche in grado di prevedere il successo di mercato. Come espone Packard in questo esempio:

..nel corso degli anni l’esperto di pubblicità Louis Cheskin… ha controllato il potere simbolico che le parole hanno per i clienti, con interessanti risultati. Un cliente del Texas, la Plenty Products (cioè «prodotti abbondanza») stava per lanciare una nuova linea di gelati. La ditta aveva deciso che Plentifors sarebbe stato un nome molto adatto. Cheskin osservò che dava l’idea della quantità, non della qualità e pertanto non si poteva vendere il prodotto a un prezzo elevato. Egli mise il gelato in un contenitore con l’etichetta Plentifors e lo espose accanto a quattro altri contenitori con etichette diverse, invitando poi 806 consumatori a dare un giudizio sui vari prodotti. In tutti i contenitori c’era il medesimo tipo di gelato. Il contenitore con l’etichetta Splendors (nome inventato da Cheskin) ottenne voti completamente favorevoli in numero quattro volte maggiore del Plentifors.

Il differenziale semantico originario

Una forma di misurazione dell’immagine, derivante dalla psicologia sociale e dagli studi di psicolinguistica, si attua tramite il “differenziale semantico”[4]. Questo strumento permette di costruire un profilo di immagine del prodotto, del marchio, o persino di una persona.  Esso restituisce al ricercatore il profilo percettivo che un qualsiasi oggetto o entità genera in un valutatore. 

Il modello si presta ottimamente ad essere utilizzato per valutare la performance comunicativa di un venditore, di un politico, di uno speaker, o di un docente, o per capire come gli amici colleghi ci vedono.

Le applicazioni del differenziale semantico sono state utilizzate per diversi scopi, tra cui la misurazione delle reazioni emozionali prodotte da uno stimolo di marketing, l’analisi dell’impatto di un nome di prodotto, di un logo o marchio. Un uso estensivo ne viene fatto anche nella ricerca sociale.

Il differenziale semantico originario aveva tra i suoi scopi primari l’obiettivo di misurare il significato delle parole, e compararlo tra diverse culture o sottoculture.

Il differenziale semantico originario permette di misurare fattori primari della reazione emotiva del consumatore rispetto ad un oggetto d’acquisto, e quindi determinare la potenza dell’oggetto in termini di generazione delle pulsioni d’acquisto. Al crescere dei punteggi lungo entrambi i fattori, aumenta la probabilità che si generi pulsione d’acquisto. Cala inoltre l’importanza del prezzo, in quanto il prodotto assume valenze psicologiche ancor prima che funzionali. Il principio che ne deriva è il seguente:

Principio – Potenza evocativa psicologica del prodotto/marchio

  • La potenza psicologica del prodotto/marchio dipende dal grado di posizionamento sui fattori valutazione, potenza e attività, dall’estremo negativo (lento, debole, spregevole) all’estremo positivo (dinamico, forte, desiderabile).
  • Al crescere della potenza psicologica del prodotto si riduce la sensibilità al prezzo.

Il differenziale semantico nel marketing

Con opportuni adattamenti, è possibile misurare la percezione di un marchio o di un prodotto e compararla con altri marchi o prodotti.

L’applicazione di queste tecniche al marketing ha reso possibile misurare l’effetto che specifiche parole o frasi hanno sul cliente, o la creazione di profili comparativi di immagine tra un’azienda e i suoi concorrenti. L’utilizzo di queste tecniche permette di ottenere risposte a domande non banali, tra cui:

  • Comparazioni d’immagine: Cosa vede il cliente nel mio concorrente diretto, di diverso da noi? Perché è nata una pulsione d’acquisto verso la concorrenza a discapito della nostra azienda? Perché abbiamo perso dei clienti? Realizzando un profilo d’immagine differenziale applicato sugli acquirenti della concorrenza possiamo ottenere queste informazioni.
  • Evoluzioni d’immagine: L’immagine che noi generiamo nei nostri clienti rimane stabile nel tempo, aumenta o si deteriora in seguito all’uso del prodotto e all’esperienza con la rete di assistenza?
  • Prossimità d’immagine: Quali sono i marchi più vicini ai nostri, dal punto di vista del consumatore?
  • Scostamenti d’immagine dall’ideale: quanto è distante il profilo percepito da un profilo di prodotto/servizio ideale?
  • Strategia d’immagine: Costruzione di un profilo di immagine ideale. Valutazione di quali direzioni prendere per ottenere un positioning migliore.

Queste aree sono alla base di qualsiasi strategia realmente competitiva.

Partendo dalla struttura di base del modello, è possibile inserire o eliminare items per rendere la misurazione più aderente a specifiche esigenze: misurazione dell’immagine di un prodotto, di un candidato politico, di un oratore, di un venditore, ecc. Il processo di adattamento consente l’inserimento di nuove dimensioni valutative maggiormente tarate sull’oggetto di studio.

La costruzione di un differenziale semantico adattato richiede la creazione di items specifici e la loro successiva depurazione e selezione, sino ad arrivare allo strumento che meglio si adatta all’esigenza: uno strumento agile (in termini di tempo di somministrazione e sforzo d’intervista) ma sufficientemente esaustivo (completo, globale) rispetto alle variabili che si intendono misurare. 

La correttezza scientifica che lo strumento di misurazione richiede non permette approcci superficiali o poco professionali alla tecnica, in quanto gli esiti della ricerca verrebbero falsati.

La tecnica del differenziale semantico non si ferma alla sola misurazione  del profilo. Essa permette di svolgere analisi avanzate, tra cui:

  • analisi di omogeneità/disomogeneità nelle opinioni dei clienti;
  • analisi fattoriali per l’identificazione di tipologie di variabili giudicate simili dai consumatori; identificazione delle variabili latenti nei giudizi dei consumatori;
  • analisi correlazionali per comprendere quali items o variabili sono maggiormente predittivi, in grado di incidere maggiormente sull’immagine o su altra variabile dipendente, tra cui l’intenzione d’acquisto, o ancora comprendere cosa specificamente incide con più forza sul gradimento complessivo di prodotto; capire cosa genera l’intenzione d’acquisto;
  • analisi di regressione e determinazione della quota di varianza spiegata, per valutare la completezza, predittività ed esaustività del modello da noi utilizzato, in relazione alla variabile dipendente da esaminare (es: intenzione d’acquisto o gradimento complessivo di prodotto). L’analisi di regressione permette quindi di “capire se abbiamo capito” a sufficienza il ragionamento sottostante la logica di acquisto, cioè se disponiamo di un quadro complessivo delle valutazioni del consumatore in grado di realizzare previsioni affidabili su come sia possibile migliorare l’offerta.

Il modello del differenziale semantico si presta anche alla valutazione di persone o prestazioni comunicazionali, per identificare i punti di forza e debolezza del soggetto o della prestazione. 

La valutazione della prestazione può avvenire sia ad opera di un valutatore esperto, sia ad opera di un pool di valutatori, o ancora tramite raccolta dati su campioni rappresentativi di pubblico target.

Terza legge di valore del prodotto

In conclusione, le tecniche proposte permettono di giungere ad un importante risultato: misurare la forza e la distanza semantica del prodotto rispetto all’ideale (grado di scollamento tra profilo ideale e profilo effettivo, tra desiderio e realtà, tra aspirazioni del consumatore e offerta aziendale). Questa considerazione è alla base della terza legge di valore del prodotto, la quale è applicabile anche alla misurazione del valore dell’impresa in generale:

Legge della prossimità del profilo d’immagine

V = PI – PP (Valore = Profilo Ideale – Profilo Percepito)

  • Il valore del prodotto è inversamente proporzionale alla distanza semantica tra il profilo di prodotto ideale del cliente e la percezione reale del prodotto. Quanto più le due percezioni sono distanti, tanto minore sarà il valore del prodotto.
  • Il valore dell’impresa è inversamente proporzionale alla distanza semantica tra il profilo di fornitore ideale del cliente e la percezione dell’immagine aziendale che il cliente ha sviluppato. Il valore sarà tanto superiore quanto minori sono le distanze tra i due profili.

[1] Heider, F. (1946). Attitudes and cognitive organization. Journal of Psychology.

Heider, F. (1958). The psychology of interpersonal relations. New York, Wiley. Trad It. Psicologia delle relazioni interpersonali. Bologna: il Mulino, 1972.

[2] Tecnica di sviluppo della creatività, utile per generare idee, nomi, marchi, strategie.

[3] Lavoro “al tavolo”, in cui si analizza il problema, si sviluppano teorie, ipotesi e modelli, ed eventualmente si raccolgono dati preliminari.

[4] La tecnica del differenziale semantico è stata sviluppata partendo dagli studi di Osgood (1952) e quindi perfezionata da Osgood, Suci e Tannenbaum e pubblicata (1957) in The Measurement of Meaning, con lo scopo, come evidenzia il titolo, di misurare i significati linguistici. Vedi bibliografia per indicazioni sulla pubblicazione originale.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La dissonanza cognitiva e l’equilibrio psicologico nel processo d’acquisto sono :

  • Dissonanza cognitiva
  • Equilibrio psicologico
  • Pulsioni d’acquisto
  • Comportamento manifesto
  • Potere evocativo delle parole
  • Misurazione degli atteggiamenti
  • Profilo d’immagine del prodotto
  • Differenziale semantico
  • Potenza psicologica del prodotto
  • Valore del prodotto
  • Percezione reale del prodotto
  • Profilo di prodotto ideale
  • Distanza semantica
  • Performance comunicativa
  • Schemi cognitivi preesistenti
  • Marketing cognitivo
  • Aspettative dei gruppi di riferimento
  • Comunicazione post-vendita
  • Dissonanza post-vendita

La psicologia degli atteggiamenti verso il prodotto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’immagine del prodotto

L’immagine dell’impresa nasce dalla somma delle impressioni che un soggetto (ad esempio un cliente) sviluppa nei riguardi di essa, ogni qualvolta viene a contatto con qualcosa (un prodotto, una persona, un simbolo) ad essa collegato o da essa prodotto. Ogni marchio, ed ogni azienda, sono in grado di generare impressioni nei clienti (positive o negative che siano). 

Così come l’azienda assume un’immagine agli occhi dei suoi pubblici, i prodotti acquistano una connotazione, e persino una personalità (debole o forte, definita o vaga, gradita o sgradita). 

Un prodotto forte è dotato di una personalità ben definita che lo fa fuoriuscire dalla concorrenza di prezzo. L’immagine del prodotto, del marchio e dell’azienda può essere misurata scientificamente. La sua costruzione attiva è uno degli obiettivi primari di qualsiasi strategia competitiva.

Quando esiste una connessione tra il prodotto, il marchio e l’immagine proiettata dall’individuo, il prodotto diventa strumento di impressions management

Il prodotto d’immagine assume valenze comunicazionali nella proiezione di un’identità, facilitando il passaggio del cliente da un’identità attuale ad un’identità desiderata (identità target o immagine target). Non importa che ciò sia realmente vero, è sufficiente che questo sia vero nella psicologia individuale dell’acquirente. 

In altre parole, l’immagine del marchio e l’immagine del prodotto diventano strumenti espressivi di un modo di essere, o di un modo di pensare. 

Trasmettono un’identità del possessore, o almeno, il più delle volte, questo è ciò che vorrebbe l’acquirente.

Il prodotto non è solo un assemblaggio di componenti. Una visione puramente merceologica e ingegneristica impedisce di capirne il valore affettivo.

Quando i prodotti si rivolgono a bisogni di ordine superiore – bisogni sociali, autorealizzazione, costruzione d’immagine della persona – essi assumono valenze soprattutto psicologiche, ancor prima che tecnico-funzionali.

I prodotti/servizi (non tutti, naturalmente, ma buona parte di essi) si trasformano da beni asettici a oggetti dotati di anima, e con essi si instaura un rapporto che fuoriesce dalla pura fruizione per entrare nel campo della comunicazione e della psicologia. Diventano, in altre parole, strumenti espressivi con i quali il soggetto cerca di modificare la propria identità, verso un’immagine più vicina al proprio sè ideale.

Nella psicologia del consumo il prodotto assume valenze emotive, quale porzione del vissuto di un individuo. L’acquisto di un viaggio può avere alla base la ricerca di un semplice momento di svago o ricreazione. Ma un viaggio può essere anche il momento di svolta di una vita, nel quale ricercare la propria identità smarrita, e ritrovare un senso nella propria esistenza. 

Sviluppare sensibilità verso la motivazione d’acquisto sottostante, capire le valenze emotive attribuite dal consumatore è un prerequisito per la comunicazione aziendale e la costruzione del prodotto. Come si può notare, elementi estranei al prodotto possono distruggere o rovinare l’esperienza del fruitore e distruggere il tentativo di costruzione attiva dell’immagine.

La presenza di elementi di disturbo, difformi e disomogenei (ad esempio un cesto dei rifiuti di plastica, anziché ricoperto di legno, in un agriturismo) elimina la consonanza tra gli elementi, necessaria per costruire un profilo d’immagine omogeneo e fluido.

Il profilo d’immagine di un marchio o di un prodotto è analizzabile ricorrendo, tra l’altro, a concetti sviluppati dalla psicologia sociale degli atteggiamenti, che esploreremo di seguito.

Gli atteggiamenti del cliente

Gli atteggiamenti sono un concetto fondamentale della psicologia sociale. Il loro utilizzo nelle ricerche psicologiche e nel marketing è ampio e permea diverse funzioni: comunicazione, ricerca di mercato, test dei prodotti, segmentazione del mercato, risorse umane e formazione aziendale.

Come sottolineano Eiser e van der Pligt (1991)[1], gli atteggiamenti non sono vaghi stati d’animo o sensazioni, ma forme di esperienza che (a) si riferiscono a specifici oggetti, eventi, persone o problemi, e (b) sono di natura essenzialmente valutativa, cioè implicano dei giudizi di buono-cattivo, positivo-negativo, giusto-sbagliato.

La relazione tra atteggiamento e obiettivi aziendali è forte e immediata. Gli atteggiamenti verso il prodotto, verso il marchio o impresa, e verso il venditore, generano o eliminano la propensione all’acquisto.

La psicologia degli atteggiamenti applicata al marketing è in grado di fornire numerosi contributi di grande rilevanza per la comprensione di come le persone valutano i prodotti. L’importanza del concetto di atteggiamento proviene dalla sua stretta correlazione con il comportamento. Gli atteggiamenti sono precursori dei comportamenti. In altre parole, la creazione di atteggiamenti positivi (1) verso il prodotto, (2) verso il venditore e (3) verso il marchio, è indispensabile per conseguire successo di vendita.

La ricerca evidenzia che l’atteggiamento individuale non è l’unica causa del comportamento, altri fattori situazionali (ad esempio la pressione degli amici o della famiglia, o tagli alla disponibilità economica, tanto per fornire un dato concreto) possono bloccare l’azione, o dirigerla verso altre mete.

In generale, possiamo affermare che nel marketing l’atteggiamento individuale verso un prodotto o un comportamento è il risultato di una serie di valutazioni specifiche, e si forma come sommatoria delle opinioni e credenze (convinzioni) relative alle componenti del prodotto. L’atteggiamento verso un comportamento emerge come risultato delle varie credenze riguardanti l’esito del comportamento stesso.

L’atteggiamento può avere una valenza positiva o negativa. Inoltre, ciascun atteggiamento avrà una certa “forza”, cioè un livello più o meno alto di radicamento nel soggetto. Perciò potremo identificare atteggiamenti fortemente positivi o fortemente negativi, moderatamente positivi o moderatamente negativi, oppure atteggiamenti neutri o inesistenti, verso qualsiasi tipo di prodotto.

La forza di un atteggiamento verso il prodotto si determina grazie ad un ragionamento moltiplicatorio: è il risultato delle credenze soggettive sul fatto che il prodotto possegga una certa proprietà per la valutazione (positiva o negativa) di quella proprietà.

Ad esempio, il mio atteggiamento verso l’ “oggetto mentale” Internet sarà dato:

  1. dalle proprietà positive che io vi attribuisco (ritengo che Internet renda possibile una ricerca veloce di informazioni; considero anche indispensabile, oggi, poter scambiare dati con altre persone senza spostarmi fisicamente) e
  2. da quanto risulta per me importante quella proprietà (per me la velocità nelle ricerche di informazioni è molto importante, così come poter risparmiare tempo negli spostamenti).

Queste valutazioni spingeranno il soggetto ad avere un atteggiamento complessivamente positivo.

In ogni prodotto è possibile percepire sia componenti positive che negative, le quali vengono soppesate secondo un sistema di bilanciamento che è estremamente individuale e soggettivo. Posso personalmente ritenere che Internet contenga anche informazioni errate ed inutili, e questo possa generare dispersività, ma questo fatto è per me poco incisivo, in quanto sento di padroneggiare bene lo strumento e di poter gestire facilmente il problema. Tutto sommato, quindi, il mio atteggiamento complessivo verso Internet sarà positivo (sommatoria di forti valutazioni positive, con qualche debole valutazione negativa). 

Nell’individuo, le diverse informazioni e valutazioni (positive e negative) compongono un quadro di atteggiamento . Questo sistema complesso di valutazioni deve essere capito, dopo una attenta analisi dei punti di forza e di debolezza del prodotto, se si vuole sperare di ottenere una buona probabilità di successo di mercato. Il valore complessivo dell’atteggiamento consente di migliorare la propria offerta, la progettazione di prodotto, e la comunicazione al cliente.

Il prodotto nel continuum positività-negatività

Gli individui non sono uguali tra loro in merito a posizioni specifiche su diversi argomenti: ad esempio, riguardo alla pena di morte, alcuni hanno posizioni negative molto forti e radicate, altri ugualmente forti, ma in senso favorevole, altri ancora moderatamente a favore o contro, altri ancora non avranno alcun’opinione specifica. Lo stesso vale rispetto ai prodotti.

Ciascun individuo possederà diverse tipologie di atteggiamento nei riguardi di diverse entità di valutazione. La struttura dei diversi atteggiamenti può essere visualizzata lungo un continuum.

Per ogni atteggiamento, esistono ancoraggi valoriali e culturali, a volte chiari e decodificabili immediatamente, altre volte inconsci e subconsci.

È naturale che un qualsiasi tentativo di modificare queste situazioni preesistenti (tentativo di persuasione) si confronterà con la modifica dei valori sottostanti, e porrà problemi di diversa natura.

In generale si può affermare che quanto maggiore è la forza di un atteggiamento, e radicato il suo collegamento con altri atteggiamenti forti e valori elevati, tanto più alta è la difficoltà di cambiarlo. Atteggiamenti molto forti e radicati nel tempo sono difficili da cambiare. Là dove non esiste alcun atteggiamento specifico (ad esempio un tema sul quale l’individuo non ha mai focalizzato la propria attenzione) la creazione di un atteggiamento specifico risulta più semplice.

Implicazioni per il marketing business-to-business

Nel business-to-business, molto spesso la latitudine di accettazione del buyer verso un nuovo prodotto o nuovo servizio non è predefinita, in quanto appunto non vi sono esperienze in merito. Questa rappresenta una problematica generale delle aziende che vendono innovazione.

Una tattica difensiva del buyer è quella di partire da posizioni negative, salvo modificarle in seguito. Non tutti, fortunatamente, adottano questa tattica, in quanto preclude ad una valutazione oggettiva e ponderata delle opportunità che possono essere realmente presenti nell’offerta.

Tra gli individui presenti all’interno di un target o campione eterogeneo di aziende, esistono varietà e differenziazioni in merito alla natura di atteggiamento preesistente. All’interno di una popolazione ampia, spesso la distribuzione degli atteggiamenti preesistenti assume una forma di curva normale (curva gaussiana, in termini statistici), che vede la presenza di un’area di soggetti fortemente positivi, una massa di “incerti” o persone che detengono atteggiamenti deboli, e un’area di soggetti con atteggiamenti negativi. Occorre quindi, per il venditore, capire questo scenario di atteggiamenti preesistenti, poiché con questo quadro egli dovrà confrontarsi.

Segmentazione attitudinale del cliente

Il termine “attitude” nella terminologia psicologica e di marketing anglosassone risponde all’equivalente italiano di “atteggiamento”. Con una piccola traslazione linguistica, utilizzeremo questo termine per definire il concetto di “segmentazione attitudinale”, intesa come stratificazione del mercato in funzione degli atteggiamenti preesistenti. 

La nostra tecnica individua cinque macrogruppi, differenziati in termini di posizioni latenti verso il prodotto:

  • Gruppo A: soggetti aperti e disponibili che dispongono di atteggiamenti fortemente positivi; le credenze possedute sono tutte positive e rilevanti.
  • Gruppo B: i soggetti dispongono di atteggiamenti positivi ma di valenza debole o moderata. Questi soggetti possono collocarsi in B anche quando a credenze positive (prevalenti) si sommano credenze negative (minoritarie).
  • Gruppo C: soggetti che non dispongono di un chiaro orientamento, per indisponibilità di esperienze precedenti o difficoltà nel valutare, o non conoscenza della materia;
  • Gruppo D: soggetti moderatamente negativi. La negatività può provenire o dal riconoscere solo punti negativi, o dal riconoscere più punti negativi (o di maggiore intensità) rispetto a quelli positivi. Eventuali punti positivi, nel quadro di atteggiamenti complessivo verso il prodotto o la proposta, diventano minoritari.
  • Gruppo E: soggetti fortemente negativi; le credenze negative possono essere numerose e sommarsi, oppure possono essere poche ma di intensità molto alta, tali da mettere in secondo piano qualsiasi altra possibile valutazione.

Questi diversi stadi corrispondono a diverse realtà psicologiche che il venditore troverà nel buyer. La difficoltà di vendita sarà crescente man mano che ci si sposta dal gruppo A al gruppo E, con una distribuzione degli atteggiamenti lungo un continuum  positivo/negativo, anche se venditori abili non si scoraggeranno molto nel fronteggiare soggetti E.

La segmentazione attitudinale (identificazione di sottogruppi diversificati in funzione degli atteggiamenti esistenti), ha lo scopo di:

  1. inquadrare la struttura degli atteggiamenti preesistenti,
  2. identificare i target prioritari,
  3. definire strategie di attacco ai diversi target.

Distribuzione delle risorse sui diversi target

Nessuna azienda o organizzazione dispone di un budget di comunicazione infinito, o di infinite risorse di vendita (tempi, uomini e mezzi). Diventa pertanto necessario definire le priorità di intervento, o priorità di vendita, in relazione ai diversi tipi di target.

In genere, queste vanno ottimizzate e distribuite partendo dai target più accessibili e responsivi, tenendo per ultimi i più ostili, i quali richiedono un maggiore costo di vendita (tempo, energie, sforzo persuasivo e abilità necessarie).

Saper identificare con che tipo di soggetti si dovrà avere un confronto è una necessità che va oltre il marketing aziendale, e pervade fortemente anche il marketing pubblico e la comunicazione pubblica. 

L’utilizzo di una strategia standardizzata su target dalle caratteristiche troppo diverse ne riduce sicuramente l’efficacia, soprattutto quando non sia stato trovato un minimo comune denominatore motivazionale.

In base alle considerazioni esposte, formuliamo il seguente principio:

Principio – Assioma di targeting della comunicazione

  • La comunicazione strategica richiede l’attivazione di percorsi e strategie diversificate in funzione dei diversi target. 
  • La comunicazione deve essere tarata in base alla struttura di atteggiamenti esistente nel soggetto ricevente.
  • La necessità di diversificazione della strategia cresce all’aumentare della divergenza/differenza tra soggetti e gruppi sui quali si vuole agire. 

In questo assioma si sostiene, quindi, che l’accettazione di un messaggio sia correlata al grado di “centratura” sui bisogni del target, sulla corretta identificazione delle strutture preesistenti di atteggiamento.

I problemi emergono sia nella pubblicità realizzata senza analisi precedente del target, che nella vendita diretta in cui il venditore fronteggia un soggetto sconosciuto.

In questi casi di blind sales (vendita che avviene su soggetti non conosciuti) la posizione dovrà essere rilevata online, in diretta, sul luogo e durante l’incontro. Le tecniche di rilevazione (domande, probing) non devono tuttavia urtare il sistema difensivo del soggetto, il quale deve vedere nelle domande del venditore una reale forma di interessamento.

Un tecnico di blind sales o un tecnico di vendita creativa è un soggetto molto abile sia in termini di formazione psicologica che in termini di capacità di analisi. Questi professionisti sono decisamente rari.

Nella vendita di servizi (es: finanziari, immobiliari), un’attività preliminare di segmentazione e screening diviene necessaria per fornire al venditore un profilo preliminare dei soggetti da incontrare (un profilo psicografico, oppure la posizione di atteggiamento ed interesse rilevata in precedenza). Questo consente la realizzazione di visite di vendita maggiormente mirate.

Nella comunicazione pubblicitaria, o comunque mediata, e nella vendita indirizzata a più soggetti (quando quindi il target è costituito da un gruppo), vale inoltre il seguente principio:

Principio – Assioma del minimo comune denominatore (MCD)

  • Azioni di comunicazione che hanno come target un gruppo composito di soggetti dovranno basarsi su bisogni e caratteristiche che costituiscono un minimo comun denominatore tra i soggetti membri del gruppo (valori condivisi, atteggiamenti condivisi, passati condivisi). 
  • Al crescere della variabilità interna del gruppo diminuisce la probabilità di trovare modelli validi ed efficaci per tutti i soggetti, e quindi aumenta la necessità di sviluppare strategie comunicative diversificate.

Credenze sul prodotto e belief system del consumatore

Le credenze, secondo Rokeach,[2] sono «proposizioni semplici, consapevoli o inconsapevoli, inferite da ciò che una persona dice o fa, che possano essere precedute dalla frase …Credo che…».

Alla base della formazione degli atteggiamenti verso il prodotto vi sono le «credenze» del soggetto (beliefs) relative al prodotto. La somma delle diverse credenze crea il “sistema delle credenze” (belief system) del cliente relativo alle conseguenze dell’acquisto. 

Credenze e atteggiamenti sono concetti diversi, in quanto le credenze rappresentano le componenti di base degli atteggiamenti, i mattoni costitutivi. Un atteggiamento può quindi essere considerato come una organizzazione di credenze

Il sistema delle credenze è un composto instabile, in cui ogni informazione in ingresso può modificarne la struttura. Le diverse credenze, valutate soggettivamente, producono l’atteggiamento complessivo di prodotto.

Il termine “credenze” evidenzia subito un fatto importante: gli atteggiamenti verso il prodotto sono un fatto psicologico, ed esistono anche senza la prova diretta o test del prodotto svolto in prima persona. È sufficiente un passaparola negativo (o positivo), o una supposizione tutta interiore sul gradimento, o persino il sound del marchio, ad innestare lo sviluppo di credenze e quindi la formazione di atteggiamenti. La credenza è una convinzione, che può anche essere sbagliata. 

Non dobbiamo pensare che il fondamento di una valutazione di prodotto si basi su riscontri oggettivi o valutazioni scientifiche, ma prendere atto che le credenze (beliefs) di prodotto si formano indipendentemente dalla volontà del venditore: sono dati di fatto con i quali egli deve avere a che fare, e che può tuttavia cercare di cambiare.

Gli atteggiamenti hanno quindi componenti cognitive, affettive e comportamentali. 

  • La componente cognitiva degli atteggiamenti riguarda l’insieme di credenze che il cliente possiede relative all’oggetto (ciò che il cliente pensa di sapere)
  • La componente affettiva o valutativa riguarda il grado di favore o sfavore verso l’oggetto, il grado di positività o negatività, che il cliente percepisce nell’oggetto
  • La componente conativa o comportamentale riguarda la tendenza all’azione che l’atteggiamento predispone nel cliente (acquistare o meno, suggerire il prodotto ad altri, non suggerirlo, o addirittura sconsigliarlo, ecc).

La maggior parte degli scienziati sociali è d’accordo sul fatto che un atteggiamento non sia un elemento basilare, irriducibile, all’interno della personalità, ma rappresenti un cluster (aggregazione) di più elementi intercorrelati.

Esistono forti influenze reciproche tra le tre componenti dell’atteggiamento. Se dispongo di una informazione non veritiera su una persona (ad esempio, penso – sbagliando – che abbia tradito la fiducia di qualcuno), la componente cognitiva sarà viziata da un errore di conoscenza. 

Questo errore si trasferirà alla componente valutativa (inizierò ad avere un rifiuto interno di quella persona, se per il mio sistema di valori il tradimento della fiducia è un comportamento indegno) e alla componente comportamentale (non lo inviterò ad una festa). 

La traduzione non è tuttavia automatica, poiché, come ricordato, vincoli esterni possono creare vincoli così forti da non consentire alla persona di agire coerentemente con i propri atteggiamenti.

Persuasione e organizzazione degli atteggiamenti

Abbiamo notato come le credenze su un determinato oggetto o prodotto si inseriscono all’interno del sistema di credenze di cui dispone il soggetto (belief system), che rappresenta «l’universo totale delle credenze di una persona riguardanti il mondo fisico, sociale, e il self». 

Dobbiamo considerare che le attività di persuasione aziendale, o l’autopersuasione di un consumatore  – magari successiva alla prova di un prodotto – costituiscono atti di riorganizzazione del belief system, cioè veri e propri mutamenti nel sistema di credenze della persona, a volta anche dolorosi.

Questa modifica, se avviene, causerà una forte riorganizzazione cognitiva, il cui costo è elevato in termini di sforzo persuasivo per l’individuo, il quale dovrà iniziare a “vedere il mondo” attraverso un sistema diverso di credenze. Il cambiamento di credenze non è di per se negativo, se il sistema di credenze iniziali conteneva bias, errori di valutazione che autolimitano la crescita del soggetto. 

Iniziare a percepire il mondo attraverso una luce diversa, con l’eliminazione dei filtri autoimposti o creati artificialmente dall’ambiente sociale, è del resto uno degli obiettivi della terapia cognitiva e di alcune scuole psicoterapeutiche (scuole Rogersiane[3]), le cui applicazioni alla vendita aziendale sono oggetto di studio da parte dell’autore e altri ricercatori.

La forza coesiva e la resistenza al cambiamento dei belief systems è tale che molti soggetti preferiscono rifiutare nuova informazione, pur di conservare il sistema di credenze in atto. Ad esempio, un razzista etnico sarà tentato a pensare che il ragazzo nero, il quale ha salvato una bambina da un annegamento, lo ha fatto “per ottenere una ricompensa” e non per volontà individuale. Questi meccanismi di “errore di attribuzione” che avvengono per non modificare le proprie strutture concettuali, sono stati dimostrati dalla ricerca sociale sulla comunicazione interculturale, inizialmente per comprendere i meccanismi di comprensione/incomprensione tra culture, ed in seguito per capire alcune valutazioni di prodotto nel marketing internazionale

In questi contesti, infatti, è stato dimostrato che le aziende di paesi ad alta reputazione in un certo settore industriale (moda italiana, meccanica tedesca, elettronica giapponese, ecc.), godono in quel settore di un vantaggio competitivo di immagine del prodotto. Ciò avviene grazie al belief system stereotipico del consumatore, che attribuisce ai prodotti di quel paese, in quel settore industriale, un grado di qualità di partenza superiore.

Questo effetto, determinato country-of-origin effect, è studiato estensivamente[4]. Ricerche nel campo dimostrano che il fattore “paese di origine” viene utilizzato dal consumatore in condizioni di scarsità di tempo di elaborazione (quando, cioè, non esiste tempo sufficiente per testare realmente le prestazioni e compararle tra prodotti).

Non dobbiamo né possiamo basare una strategia di marketing sulle credenze che il cliente “dovrebbe avere”, ma su quelle che effettivamente ha, per quanto sbagliate o distorte siano. Fare il contrario significherebbe ottenere risultati opposti o controproducenti, sia nella comunicazione sociale e pedagogica, che nella comunicazione di mercato.Sono proprio le credenze del momento ciò che l’individuo pensa, gli elementi in base ai quali agisce. Il fatto che le credenze siano distorte, al di là della verità oggettiva, non cambia le cose. Quindi le credenze assumono un peso maggiore rispetto alla “verità” di fatto. 


[1] Eiser, J.R., & van der Pligt, J. (1991). Atteggiamenti e decisioni. Bologna, Il Mulino. Edizione originale: Attitudes and Decisions. London, Routledge, 1988.

[2] Rokeach, M. (1968). Beliefs, attitudes, and values. San Francisco: Jossey-Bass.

Rokeach, M. (1973). The nature of human values. New York: Free Press.

[3] Autore di riferimento: Carl Rogers, psicologo e psicoterapeuta creatore della Client-centered therapy. Vedi Rogers (1951). Per approfondimenti sulle applicazioni rogersiane al marketing e comunicazione aziendale vedi www.medialab-research.com/tecniche/rogersiane/

[4] Vedi Gurhan-Canli, Z. & Maheswaran, D. (2000). Determinants of Country-of-origin evaluations Journal of Consumer Research, 27.

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Altre risorse online

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