Cosa determina la tua forza interiore?

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Costruire la Forza Interiore

La mente è il nostro organo più debole e forte allo stesso tempo. Può essere il migliore alleato di chi vuole vivere a pieno il suo viaggio nelle arti marziali e negli sport di combattimento. 

Ma occorre un metodo anche per coltivare le abilità mentali, e la coscienza profonda di cosa significa trasformarsi in un’arma

Esistono “tecniche” molto precise per il potenziamento delle facoltà mentali.

Queste tecniche – derise dagli ignoranti – vengono utilizzate da millenni nelle arti marziali e in diverse religioni, ma paradossalmente, proprio dalle arti marziali moderne sono via via sempre più dimenticate, in onore di una modernità “veloce e rapida”. Malissimo. 

Negli sport da ring dove vengono considerate superflue, il messaggio che passa è “sei un duro e non devi avere emozioni”, errore mortale. Soprattutto quando scopri che un atleta ben preparato perde quasi sempre per motivi soprattutto psicologici e tattici, e non di forza muscolare o allenamento fisico.

Queste tecniche sono invece praticate al massimo livello dalla stragrande maggioranza dei vincitori olimpici in ogni disciplina. Ci sarà un motivo o no?

E nella vita, vogliamo una mente allenata da usare come arma contro i nostri nemici interni ed esterni, o no? Cosa facciamo, ci arrendiamo al primo che passa?

Caricare la mente

L’area più importante di analisi della forza interiore è la carica psicoenergetica. Sentirsi psicologicamente carichi è fondamentale.

L’aggettivo “psicoenergetico” si riferisce a ciò che nasce puramente da processi mentali o emozionali, e non da processi unicamente fisiologici.

Si tratta quindi di isolare l’energia autoctona dello spirito vitale, cercando di distinguerla da quella delle energie fisiche e biologiche. Un lavoro pionieristico e complesso su cui le conoscenze sono in fase davvero embrionale, lavoro difficile, ma per questo affascinante.

La carica psicoenergetica si riferisce alle energie psichiche che il soggetto riesce a produrre, separatamente dallo stato biologico e fisiologico.

Le energie mentali possono certamente essere condizionate dallo stato del corpo – ciascuno di noi può subire il condizionamento negativo che deriva dalla stanchezza, da un dolore fisico, dalla fame o sete, da uno squilibrio corporeo. Tuttavia, quando il corpo si trova in condizione di calma, di equilibrio, omeostasi, relativa quiete, la componente mentale non è ferma. I tuoi pensieri possono continuare ad accavallarsi.

Puoi trovarti a fluttuare tra stati di carica energetica (positiva) o di mancanza di energia.

Il compito della psicoenergetica è di isolare i fattori che determinano queste fluttuazioni nella carica mentale, al di là del piano fisico. 

È necessario capire a quali fattori esistenziali si associano ai diversi livelli umorali, analizzare come ci si sente interiormente e come questo incide sulle nostre energie mentali.

Dobbiamo quindi analizzare prima di tutto i fattori di natura il più possibile isolata dalla condizione organismica fisica, quali l’autostima (ci sentiamo meglio o peggio ne vederci come artisti marziali o fighter della vita?), l’autorealizzazione (ho un ideale di me stesso a cui puntare?), il desiderio di riscatto personale e di riscatto sociale (nelle mie professioni e nei miei ruoli, trovo la possibilità di esprimere ciò che mi è possibile fare o ciò che amo fare?)

Quando, in che situazioni, e per quanto tempo – durante un anno, o una giornata – ci si sente realizzati, motivati, sicuri di sé o piuttosto afflitti e avviliti? Quanto spesso demotivati, frustrati, o invece grintosi e forti? 

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online


La ricerca e l’analisi sui target primari e secondari

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I confini comunicazionali della campagna

confini comunicazionali selezionano chiaramente il target, lo descrivono e lo separano da altri target o altri soggetti che – pur interessanti – non sono oggetto delle attenzioni di questa campagna.

La campagna è per definizione un’azione su un target molto specifico e localizzato.

target

I confini della campagna devono essere fissati considerando la fattibilità e le risorse in campo, e un periodo di tempo preciso, che non può in genere andare oltre l’anno di tempo. Il motivo per cui non è conveniente estendere troppo la durata della campagna è che la situation analysis (su cui si basa la campagna) evolve rapidamente, e quindi i presupposti iniziali potrebbero essere molto cambiati anche solo a distanza di un semestre. Il bimestre o trimestre – i 60 o 90 giorni di tempo per fare una intera campagna (come tempo medio) – forzano l’organizzazione a stringere il campo su un target ristretto ma chiaro.

Distinguiamo quindi nettamente una campagna di comunicazione da un programma permanente di comunicazione, per evitare confusioni.

Se un obiettivo è molto ampio e il budget elevato, è molto meglio suddividerlo in più campagne specifiche, delimitate, ristrette, controllabili, anziché produrre azioni mastodontiche e dispersive.

Molti amministratori  o manager – per incapacità o in malafede – fissano volutamente obiettivi confusi e scarsamente delimitati, per sfuggire al controllo di risultato che invece una campagna focalizzata permette di praticare.

I confini dell’azione possono anche essere rifiutati da funzionari o consulenti che non desiderano rendicontare il proprio operato (scarsa Accountability). Questo atteggiamento è negativo per tutti. 

Molto più produttivi risulta invece un patto tra (1) funzionari, leader (e altri membri del team di campagna) e (2) finanziatori della campagna – finalizzato ad ottenere (ed esigere duramente, se necessario) le risorse adeguate agli obiettivi di campagna da raggiungere. 

I project leader devono assolutamente rifiutare obiettivi di campagna che non abbiano adeguata copertura di risorse. Devono quindi costruire una lista di risorse necessarie (lista della spesa) per coprire ogni azione prevista entro i confini della campagna.

Ricerca sui target primari

Il team di progetto dovrà conoscere ogni aspetto critico del target da raggiungere.

Per le campagne al consumatore diretto B2C, si include in genere il profilo sociodemografico (età, sesso, titoli di studio, residenza, gruppo etnico, professione) e i profili psicografici (stili di vita, preferenze politiche, abitudini e atteggiamenti).

Variabili di segmentazione sociodemografica nel B2C

  • Sesso
  • Età
  • Titolo di studio
  • Zona di residenza
  • Gruppo etnico di appartenenza
  • Reddito
  • Professione

Variabili di segmentazione psicografica nel B2C

  • Atteggiamenti
  • Cultura – identità
  • Valori umani e sociali
  • Stili di vita (lifestyles)
  • Comportamenti e abitudini
  • Personalità
  • Religione d’appartenenza, grado di religiosità
  • Umori, stati umorali ed emotivi
  • Appartenenza politica
  • Weltanschauung – visione del mondo
  • Propensione al rischio
  • Need-for-uniqueness (bisogno di unicità, bisogno di differenziazione)
  • Way-of-buying (comportamenti d’acquisto, modalità e culture d’acquisto)

Nelle campagne B2B è importante definire quali sono le modalità di acquisto, i ruoli di acquisto, gli influenzatori, i comportamenti passati e le motivazioni di base, le possibili leve di vendita che faranno scaturire l’intenzione comportamentale, gli ostacoli ed obiezioni che incontreremo.

Variabili oggettive per la segmentazione B2B

  • Numero di dipendenti
  • Fatturato – classe di fatturato
  • Variazioni di fatturato sugli anni precedenti
  • Zona di insediamento
  • Nazione di appartenenza
  • Settore merceologico
  • Appartenenze ad associazioni di categoria
  • Esportatore o meno, e quanto

Variabili qualitative per la segmentazione B2B

  • Tipologie di acquisto (gara tra fornitori, appalto, acquisto per amicizie, acquisto imitativo, etc)
  • Climi aziendali e organizzativi
  • Culture aziendali.

Quando la campagna di comunicazione è orientata alle vendite, dovrà essere compreso quale way-of-buying adotta il consumatore, quali obiezioni latenti esistono verso i messaggi, come saranno recepiti i messaggi, considerando la struttura mentale del target.

Dovremo inoltre capire se il target è omogeneo o disomogeneo, e quindi se sarà sufficiente un messaggio ad ampia copertura o occorra predisporre messaggi segmentati, tarati sulle singole audience.

Se affrontiamo una campagna di vendita acquisitiva, dovremo sapere presso chi si rivolge oggi il cliente, se ha già dei fornitori, come li ricerca, come decide, chi decide all’interno dell’organizzazione e chi sono gli influenzatori, e numerose altre variabili.

target

La ricerca sui target primari trae vantaggio dalla realizzazione di azioni di ricerca mirata, su piccoli campioni di componenti del target, per produrre un quadro descrittivo sufficientemente nitido, un quadro che permetta di evitare grossolani errori che spesso si praticano nella comunicazione aziendale quando manca un’analisi accurata del target.

Target audience secondari e opinion leaders

Come abbiamo già sottolineato, il comportamento è sempre influenzato a qualche livello dalle aspettative altrui e da gruppi di riferimento o persone vicine. 

In diverse situazioni, comunicare verso gli opinion leaders o verso gli influenzatori è indispensabile per rimuovere blocchi che impediscono l’adozione di nuovi comportamenti e atteggiamenti, o per ottenere dei “lasciapassare comportamentali” che rimuovono veti psicologici latenti.

La ricerca sui sistemi di influenza e sulle reti di influenza è quindi indispensabile per capire a chi altri comunicare, con quali messaggi e con quali media.

Le campagne di comunicazione efficaci richiedono la comprensione della mappa dei poteri e delle relazioni nella quale si inserisce il soggetto target.

Ad esempio, nel campo della promozione dello sport per anziani, è stato notato da ricerche condotte dall’autore per conto di un’associazione nazionale di promozione sportiva, come la comunicazione verso gli anziani stessi sia ampiamente insufficiente se non avvengono azioni su influenzatori quali i medici di base e i membri della famiglia. Altre importanti funzioni di rinforzo sono svolte inoltre dai gruppi associativi quali i circoli per anziani e i sindacati di anziani, il cui supporto diventa determinante per consolidare l’efficacia dei messaggi.

Dimenticare l’esistenza di questi soggetti è un grave errore strategico.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

La definizione del target audience

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Target audience

Quando vuoi comunicare la tua azienda o il tuo prodotto, prima di tutto devi chiederti “a chi”. E “cosa vuoi generare in loro”.

L’approccio pragmatico richiede alla campagna di comunicazione una sola cosa: risultati concreti, misurabili, tangibili.

Lo schema Who do you Want to do What (chi vuoi che faccia cosa) esprime chiaramente l’orientamento pratico della campagna.

La comunicazione deve cambiare comportamenti o deve introdurre comportamenti, deve cambiare o introdurre atteggiamenti, deve far accadere situazioni o creare condizioni favorevoli affinché accadano.

E ancora una volta, ricordiamo che il semplice “informare” non equivale a persuadere. Siamo persuasivi solo quando cambiamo uno stato di cose pre-esistente.

Ragionare e convincere, com’è difficile, complicato e laborioso! Suggestionare? com’è facile, veloce ed economico!

(Santiago Ramón y Cajal)

Anche le campagne di comunicazione puramente istituzionali e legate all’immagine devono connettersi a specifici comportamenti da introdurre o modificare. L’imperativo è quindi “comunicare per cambiare”, “comunicare per far accadere”, e non comunicare per se stessi. 

In una tribù, i corteggiamenti hanno successo quando arriva l’accoppiamento, e chi possiede già l’attenzione del “cliente” è ostile e ultra-aggressivo verso chi prova ad avvicinarsi. Difende il territorio. Perciò i messaggi devono riuscire a passare questi innumerevoli “firewall tribali” se vogliono avere successo. 

Questo accade anche nelle aziende, dove i decisori, i VP e CEO sono circondati da appositi branchi di scimmie pagate per tenere lontani nuovi intrusi, di cui hanno paura, soprattutto paura che prendano il loro posto. 

Quindi, la conquista dell’attenzione dei decisori diventa un fattore persino più importante del messaggio.

message in the bottle

Il messaggio arriva dopo.

Dire che sei bravo, che sei “leader” (di cosa… se lo dicono tutti), che hai “qualità” equivale a dire niente. Prova a dire che problemi risolvi, che sogni aiuti a concretizzare, che benefici psicologici e materiali hanno le tue soluzioni. Crea una “storia” che parli al cuore di chi la riceve, non limitarti a seminare slogan.

La definizione delle target audience richiede la delimitazione dei confini comunicazionali.

Identificazione corretta del pubblico obiettivo, del target di marketing e target di comunicazione

Nella campagna di comunicazione risulta indispensabile distinguere tra target di marketing e target di comunicazione

Il Target di Marketing (TM) é costituito dal gruppo di persone, pubblici obiettivo, consumatori o rappresentanti di organizzazioni, dai quali si intende ottenere un effettivo comportamento d’acquisto (esempio, la firma di un contratto, il recarsi presso un punto di vendita e effettuare un acquisto).

Il Target di Comunicazione (TC) é invece dato dalle persone, gruppi o aziende sulle quali viene esercitata una forma di comunicazione, necessaria affinché si produca il risultato di marketing (vendita).

Analizziamo caso per caso le diverse situazioni :

  • TM=TC : target di marketing e target di comunicazione coincidono quando le azioni comunicative sono esercitate esclusivamente ed esattamente sui potenziali clienti.
  • TM è maggiore del TC : la strategia di comunicazione prevede azioni comunicative rivolte ad un numero di soggetti minore rispetto agli acquirenti previsti.

Il principio su cui si basa questa modalità è l’effetto di diffusione, il passaparola, secondo modelli di Two-Step Flow o Multi-Step Flow, spesso basati sul ruolo degli Opinion Leaders. 

In questa situazione comunicativa, il messaggio si rivolge a pochi soggetti per ottenere un effetto su molti.

  • TM minore del TC : quando il TC (Target di Comunicazione) è più ampio del TM (Target di Marketing), siamo di fronte al caso in cui cerchiamo di creare consenso, lavoriamo sul clima esterno al cliente potenziale, affinché si creino delle azioni di push che portino il cliente all’azione. 
child

Un caso esemplificativo è la pubblicità di scarpe che si illuminano camminando, destinata come target comunicativo ai bambini, affinché i genitori vengano stimolati ad acquistarle.

Ma anche, nel Business to Business, le azioni di KLE (Key Leader Engagement) in cui si “lavorano ai fianchi” gli influenzatori affinché siano loro a rivolgersi ai decisori e stimolarli a compiere un’azione o un acquisto.

Molte culture aziendali e addirittura nazionali sono fondate su un forte network di relazioni personali. In questo caso, conquistare la fiducia dei decisori, degli influenzatori, portarli ad agire a nostro favore, è larga parte del vero sforzo di una campagna e richiede ottimi specialisti di KLE.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business

Il mondo è molto più tribale di quanto sembri, le persone si fidano di più del suggerimento di una persona che conoscono rispetto a mille spot o brochure, per cui il successo spesso richiede un ritorno a forme di contatto umano personale, face to face.

I canali interpersonali di tipo telefonico, o videoconferenza, possono essere un sostituto ma solo in parte. Sempre e comunque quanto più il rapporto diventa veramente face to face, in vera presenza fisica, quanto più la probabilità di successo aumenta. Questo, paradossalmente, quanto più il mondo si digitalizza, il contatto umano fa la differenza perché diventa più “raro”, e quindi più “prezioso”, come ogni merce.

Durante il contatto umano, accadono più cose, anche perché in presenza fisica è più facile svolgere “lie detection” (scoprire bugie comunicazionali e atteggiamenti sottili) rispetto ad una mail o una telefonata, per non parlare dell’ignoranza vera e da ammettere senza colpe, rispetto al sapere quanto accade veramente nella mente di una persona che vede uno spot o una brochure, un banner, un video, una nostra pagina web, in nostra assenza, e cosa pensa veramente.

Molte aziende non comprerebbero da te nemmeno acqua pura mentre stanno morendo di sete, se non gli piaci a pelle, e questo va contro ogni ragionamento logico, eppure è reale. Vale anche per te quando entri in un ristorante. Se c’è un’atmosfera che non ti piace, magari grigia e facce che non ti piacciono, te ne andrai ancora prima di sapere cosa c’è nel menù. 

Ogni azienda compra tramite “cordate tribale di consenso” e ciascuno cerca di far entrare i propri “fornitori amici” e far fuori gli amici dei propri nemici.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business, e nella comunicazione dobbiamo tenerne conto. Nessuno fa niente per niente.

Il dettaglio fondamentale del libero mercato è che nessuno scambio ha luogo senza ch’entrambe le parti ne traggan beneficio. Milton Friedman

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Altre risorse online

Punto della situazione: su cosa lavorare per ritrovare energia vitale e libertà?

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Trovare le parole per capirsi. Concetti di Coaching e Counseling, Psicologia e Comunicazione

Esponiamo alcuni concetti chiave a mò di glossario, anticipando tuttavia in tutta franchezza che la comprensione di questi concetti e soprattutto la loro vera assimilazione nella tua personale vita, richiedono un lavoro personalizzato, in presenza, e sicuramente non sono sufficienti letture frettolose e ricette facili. 

Possono aiutare ad avvicinarsi al concetto, ma non il suo “embodiment”, il fatto che il concetto “ti entri” nei comportamenti reali.

Esponiamoli comunque nella speranza di poterci incontrare in vita e sperimentarne la potenza per il benessere e la libertà che possono generare.

  • Calco comportamentale. Un’esperienza che ti entra e resta tale, anche quando la ragione di questo calco è finita. Consolidamento di un modello che è nato per un motivo ma rimane anche senza quel motivo scatenante
  • Sequestro sensoriale. Il corpo è costantemente coinvolto in una vastità di segnali, il sequestro avviene quando veniamo avviluppati senza la nostra volontà esplicita in una determinata sensazione corporea o emotiva e non riusciamo a liberarcene o a capirla
  • Flessibilità esistenziale ed energie mutevoli. Per vivere a pieno, dobbiamo mantenere il grounding (radicamento solido nel terreno e nella nostra identità) ma farlo in modi di volta in volta diversi, con libertà di cambiare 
  • Stile comunicativo: che tu te ne accorga o no, hai uno stile, un “modo” nel chiedere le cose, più o meno assertivo o supplichevole o invece arrogante, o invece razionale, o ancora assertivo, o poetico. Esiste un modo nel dire le cose, piuttosto deciso o invece cortese, o esitante o confuso, qualsiasi sia questo “modo” esso influisce su quello che gli altri fanno di te e con te. Scoprire il proprio stile comunicativo e lavorarvi sopra è una grandissima conquista da adulti consapevoli. Questo, anche nel dialogo interiore. Breve nota di riflessione. Questo vale anche nei linguaggi d’azienda. Il politically correct aziendale consiste nell’usare 155 parole per dire quello per cui ne basterebbero 10, deviando allo stesso tempo un’analisi vera del problema e spostandola su temi di massima in cui, alla fine, non si capisca nulla. Entropia comunicativa allo stato puro, che porta i problemi a rimanere tali e le aziende a chiudere. Usarlo con se stessi, è farsi del male. Meglio che i problemi emergano e li guardiamo in faccia, piuttosto che lasciarli marcire nel silenzio, perché da dentro, non affrontati, corrodono.
  • Assertività esistenziale. Decido di costruire situazioni e ambienti ecologicamente buoni per me, decido di liberarmi di quelli che mi intossicano. Questo comprende anche fenomeni molto pratici come il quanto insistere se una persona non mi risponde subito al telefono (per alcuni il numero di chiamate massime è “1 poi se vuole mi richiama”, per altri “lo chiamo 13 volte o finché non mi risponde chiamo”. Non esiste un giusto o sbagliato, esiste solo una grande presa di coscienza su cosa va bene per noi in un certo momento e in una certa situazione.
  • Preparazione Mentale e Presenza Mentale, alla presenza dell’altro possiamo “esserci mentalmente” o essere “altrove”. La presenza mentale è fondamentale durante l’esecuzione di compiti e attività, la non-distrazione, la totale assenza di pensieri interferenti che impediscono il fluire dell’azione e il successo dell’azione. Questo è uno dei motivi per cui, ad esempio, il mio scrivere un libro funziona meglio se in una biblioteca spaziosa e tranquilla, magari in un tavolo da solo, piuttosto che in un ufficio dove 100 altri stimoli possono distrarmi e dai quali, se voglio mai scrivere, devo usare energie per schermarmi. Nella biblioteca ideale, invece, le energie che non sono costretto ad usare si liberano e diventano energie per la scrittura. E la biblioteca ideale probabilmente esiste solo dopo averne visitate dieci che non andavano bene e nelle quali non sarei riuscito a scrivere. Questo concetto di attenzione al setting, alla preparazione mentale, al contesto, vale in ogni ambito della vita.
  • Pattern corporei, modelli corporei, es. curvatura del dorso, posizioni del corpo, posizioni delle spalle, tipo di camminata, velocità o lentezza dei movimenti, modelli di body language, danno luogo a veri e propri modelli psico-corporei alcuni dei quali vanno bene mentre su altri è necessario lavorare per ripristinare condizioni di equilibrio psicologico e fisiologico.
  • Pattern comportamentali. Accorgersi di quando siamo in condizione di disagio, di come facciamo a cacciarci nei casini da soli e finire nel disagio, a volte involontariamente; accorgersi di quali comportamenti automatici mettiamo in campo, di quando vanno bene, e cosa vogliamo imparare a cambiare e automatizzare.
  • Battle Rhythm. Nella vita facciamo tante cose, ma le facciamo con il ritmo e per il tempo giusto? Esempio, per fare un lavoro corporeo sano, è bene allenarsi tutti i giorni o al massimo a giorni alterni, e servono strategie, piuttosto che stare fermi per 6 giorni e massacrarsi di iper-allenamento una domenica mattina. Non funziona così! Eccedere porta a distruggendosi con il malsano pensiero di recuperare l’intera settimana. Una “dose allenante” sana al giorno invece fa bene, benissimo. Lo stesso vale per il Training Mentale e l’allenamento di facoltà mentali. Perdere il Battle Rhythm in qualsiasi area della vita significa dimenticare per troppo tempo una certa attività e farla arrugginire. Tenere il Battle Rhythm significa invece tenere “sotto pressione” un certo problema fino a che non se ne sia andato o eliminato in modo sensibile. In altre parole, finché non hai vinto tu.
  • Vettore memetico. Un “meme” è una traccia mentale, un ricordo, una credenza, può essere persino un ritornello o una frase del tipo “prima il dovere poi il piacere”. E’ tutto quello che abbiamo appreso sinora e ci circola nel “database mentale”. A volte questa traccia, sotto forma di persona o di messaggio, ti trascina o vuole portare la tua vita verso un determinato stato. Quello stato è buono per te? Lo vuoi davvero? Ti fa bene? Se dici di no ma lo fai per dispetto sarebbe possibile invece dire si? O ancora, dici un si “forzato” che non senti veramente dentro, e vorresti imparare a dire un sano no?

Ciò che importa è notare quando, grazie a un lavoro di Coaching e Counseling, alcuni meccanismi di funzionamento del soggetto si sono rimessi in moto, ed è in atto un percorso di ricerca, di esplorazione di nuove possibilità di vita, una ricerca che ha una sua direzionalità positiva.

La presa di coscienza di nuove aree di crescita personale e organizzativa, legate a competenze mai prima prese in considerazione, è uno dei fattori che permette lo sviluppo, la crescita personale, il viaggio verso il benessere, la libertà.

Quando le azioni di formazione, di coaching e counseling iniziano a prendere piede, si nota anche un riverbero (osmosi positiva) tra aumento di micro-competenze apprese su vari livelli. In altre parole, un lavoro sul corpo porta spesso ad un benessere collaterale sulle emozioni. E un lavoro sulle emozioni o sulle scelte di vita può ridare energie al corpo o cambiare e migliorare il sonno. Nel corpo, nella respirazione, o nelle relazioni umane, come la gestione di incontri e riunioni, tutto è collegato.

La sensazione di avere un orizzonte temporale nuovo, non più rigidamente legato a abitudini vecchie e obsolete, offre un senso di “movimento” interno che si può trasformare anche in movimento esterno, fino al camminare, correre o viaggiare.

Tutti questi dati vengono da descrizioni soggettive, sensazioni interne, ed è esattamente questo il livello che ci interessa in questo momento: quanto una persona senta o meno voglia di viverespirito vitale, slancio, quanto pensa di poter far fronte a sfide o stress, quanta voglia di fare e di esistere ha in circolo o si senta invece finito, annientato, bruciato, spento, svuotato.

Per realizzare una consulenza alla persona, al team o all’organizzazione, è indispensabile individuare i vettori su cui lavorare.

Bisogna scoprire come guardare in modo da riuscire a vedere tutte le cose che accadono all’esterno e all’interno di noi come un processo unitario, un movimento totale.

Jiddu Krishnamurti, La domanda impossibile

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La capacità di filtrare: integrazione e libertà

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Immersione nelle multisfere

La qualità è quantità delle stimolazioni che riceviamo è elevatissima e se non la filtrassimo diventeremo letteralmente disintegrati.

Siamo immersi in una quantità di “sfere sensoriali” che è bene conoscere: 

  • Audiosfere – le musiche, rumori, suoni che arrivano all’udito, di ogni tipo. Conversazioni, toni di voce, battiti, rumori stradali, i rintocchi di una campana, il sottofondo della ventola del PC, uno che sfoglia un libro nella stanza accanto, una persona che si soffia il naso, un pianto, un chiacchiericcio indistinguibile, uno scricchiolio, un motore, suoni della natura, tutti influiscono sul nostro essere, sfiorano e dirigono le emozioni (a nostra insaputa) e diventano immediatamente “embodied” (incorporati, entrati nel corpo).
  • Aptosfere – sfere di sensazioni tattili, caldo e freddo, aria sul volto o sul corpo, acqua che scorre o in cui ti immergi, vestiti, comodi o scomodi, tessuti naturali o innaturali, arredo che viene toccato (tavoli, tastiere, maniglie, utensili). Implica un laboratorio per costruirsi spazi di vita e ambienti che ti fanno bene, nutrono e non ti soffocano, provocano piacere e non stress. Include l’ergonomia degli oggetti e degli ambienti.
  • Visiosfere – oltre 20 giga di dati entrano in ogni secondo nella nostra mente, quando abbiamo gli occhi aperti. La scelta dei contenuti, data questa mole di dati, diventa essenziale.
  • Mitosfere – i “personaggi” che circondano la nostra vita, anche e soprattetto dal mondo dei media, persone viventi o defunte, vere o finte, personaggi di fantasia (Superman) o giocattoli (la Barbie) che ci vengono proposte come miti da raggiungere, persone che rappresentano il successo così almeno come ce lo vogliono vendere loro, ma anche eroi immaginari dei cartoni animati, o reali personaggi dello sport e dello spettacolo. Se non facciamo pulizia su chi NON vogliamo essere queste mito-ancore rischiano di diventare i nostri “Role Model”. La Barbie è un esempio di corpo deforme, un mostro, non un modello. Ma anche personaggi dello spettacolo, veri o finti, Briatore, Batman, Rambo, il pompiere, l’astronauta, il ladro astuto, la bella, la bestia, il “furbo”, sono intrisi di immaginario patologico. Quali di questi “archetipi” vivono in noi e ci ispirano a nostra insaputa?
  • Semiosfere – le immagini e segni che ricoprono letteralmente i muri delle nostre città, i lati delle nostre strade, le nostre abitazioni, il nostro abbigliamento, sotto forma di marchi, loghi, forme (quadrate, triangolari, naturali, artificiali) “archetipi visivi” che ci circondano e ci influenzano, e persino formano parte delle nostre identità. Il Marlboro Man è un esempio su come l’industria del tabacco sia riuscita a costruire un’icona semiologica in cui la sigaretta non si vede nemmeno più, avvolta da un’aura di mito (il far west, l’uomo con il suo cavallo, la sfida, il coraggio), assorbendo “potere psicologico” dalle associazioni con questi mondi.
  • Sociosfere: le sfere di persone che ci circondano e con cui ci relazioniamo, in modi positivi o negativi, e i momenti in cui la nostra attenzione viene sequestrata dalle dinamiche tra persone e tra gruppi, più che sull’ambiente. Quando predomina una percezione dominata dalle sociosfere, potremmo essere circondati da laghi, montagne o foreste, fiori o arte, ma invece guardiamo le persone. Guardiamo le espressioni, le facce, i gesti, cerchiamo di capirne i significati nascosti, cerchiamo le risposte, cerchiamo di capire chi siamo, cosa valiamo per gli altri, chi piace a chi, chi sta con chi, cosa pensano di noi, e ci preoccupiamo di gestire la nostra identità in questa sfera sociale e la nostra accettazione sociale in cui siamo inglobati. 
  • Sociosfere digitali, la prosecuzione sul piano digitale della nostra identità, su siti, social, piattaforme web. Questo meccanismo, può essere strumento di espressione, ma può essere anche inglobante, sequestrante, di forza talmente grande da riuscire a volte a rapire la persona dal mondo fisico reale e portarla in un pianeta elettronico e virtuale più importante della vita fisica stessa. In questo modo, si perde la parte più significativa di sè. Nelle sociosfere digitali, l’arena di gioco della propria esistenza si trasferisce ed emigra online.

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Altre risorse online


I confini dei ruoli del “chi fa cosa”

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Competenza tecnica e qualificazione dei membri interni ed esterni del Campaign Team

Di assoluta importanza e priorità è decidere quali siano i confini dei ruoli : chi deciderà la strategia del messaggio? Il creativo o lo psicologo, o il direttore commerciale? 

Se non chiariamo prima i confini del “chi fa cosa” la campagna sarà un continuo susseguirsi di rimpalli di responsabilità o lotte di potere, e in un caso o nell’altro non ne uscirà nulla di buono.

In ogni organizzazione la certezza della responsabilità nominale (un nome per ogni responsabilità) è un ingrediente fondamentale.

Nessun titolare d’azienda si affiderebbe ad un idraulico per un’operazione al cuore, e la comunicazione aziendale è materia altrettanto delicata. 

La comunicazione punta al cuore dell’azienda e al cuore del cliente.

Sbagliare la comunicazione produce danni. Gli errori costano cari. 

Per gestire una campagna di comunicazione dobbiamo quindi definire competenze scientifiche e di coordinamento forti, e delegare solo i compiti veramente amministrativi a chi ha competenze amministrative. Dobbiamo inoltre capire che molte competenze prima giudicate amministrative sono in realtà comunicazionali. 

Il fatto di considerare un operatore di telemarketing come amministrativo è un errore, in quanto il telemarketing è attività comunicazionale che richiede forti skills verbali, paralinguistiche e di ascolto, un training adeguato, e una selezione di partenza forte. Lo stesso vale per la vendita diretta.

Ancora di più vale per il Key Leader Engagement, la dove abbiamo persone fisiche che vanno ad ingaggiare leader e decisori. La preparazione deve essere massima.

Ogni campagna di comunicazione deve costruirsi sulle basi di un pool manageriale, tecnico e scientifico dalla consolidata esperienza e capacità.

I ruoli e le funzioni più importanti nell’impostazione di una campagna di comunicazione aziendale sono connessi alle sue diverse fasi. 

Mentre nelle grandi campagne di comunicazione, che dispongono di budget elevati, è opportuno che i ruoli siano assunti da diverse persone, nelle campagne di comunicazione e nelle campagne commerciali delle PMI è invece possibile accorpare diverse funzioni in più persone, considerando la realtà delle risorse disponibili.

In questo caso (accorpamento di più ruoli) dovremmo comunque distinguere quale “cappello” il soggetto stia vestendo nei diversi momenti della campagna, per evitare di confondere le responsabilità, che devono invece rimanere separate.

I ruoli e le funzioni principali della campagna di comunicazione

  • Direttore commerciale, direttore marketing, o titolare/proprietà: il direttore commerciale o direttore marketing (in alcuni casi la proprietà stessa) deve esplicitare il risultato da raggiungere in termini aziendalistici e verificare tramite le sue conoscenze dirette del mercato la fattibilità di alcune fasi della campagna. È il referente verso il quale la campagna deve produrre risultati.
  • Consulente in comunicazione: il consulente deve agire da direttore scientifico, facilitatore di processo e referente tecnico, esponendo le linee guida da seguire. Tra i suoi compiti si inseriscono la fissazione dei communication goals in accordo con la direzione commerciale, la supervisione scientifica dei processi di ricerca, message planning e communication planning, pre-test e verifiche di risultato, e la definizione della channel strategy.
  • Creativo: il creativo può ricevere il compito di elaborare un messaggio che concretizzi la linea di azione comunicativa decisa strategicamente dalla direzione e dai consulenti.
  • Copywriter: il copy è responsabile della redazione dei testi, e in alcuni casi della realizzazione degli scripts (strutture di comunicazione).
  • Ricercatore/analista: ha il compito di curare progetti di ricerca e realizzare raccolte dati (primari o secondari) che facciano luce sul problema, svolgendo inoltre le necessarie ricerche sui target primari e secondari. Se dotato di skills elevate, possiede le competenze per realizzare i test sperimentali di efficacia del messaggio (pre-test), ricerche qualitative e verifiche di risultato (post-campagna). Deve compiere analisi qualitative e/o quantitative.
  • Media-planner (solo nei casi di campagne tramite mass-media): ha il compito di verificare la disponibilità dei media e acquistare gli spazi media, considerando i  tempi e momenti di esposizione esatti nei quali il messaggio deve uscire, e i canali/media sui quali si intende comparire.
  • Key Leader Engagement Specialist (KLE): ha il compito di ingaggiare, contattare le persone chiave, i decision makers, gli influenzatori, e quando vi sono più Engager, gestire le operazioni di KLE e coordinarle
  • Project manager: ha il compito di coordinare le diverse risorse umane, i tempi e le risorse di progetto.
  • Finanziatore: reperisce le risorse per le diverse fasi. Può essere il titolare o un manager che gestisce un budget. Il più grave errore che può compiere è ricercare risultati elevati stirando un budget risicato su molteplici obiettivi, senza raggiungerne alcuno.

Partner potenziali e loro ruolo nella campagna di comunicazione

Molti progetti richiedono la presenza di partner qualificati. I partner possono essere sia strutture pubbliche e private, enti o aziende, consulenti o associazioni, fornitori o clienti, e altre entità cointeressate alla realizzazione degli obiettivi di progetto. 

pa
ship

I partner devono avere ritorni forti e responsabilità accettate in modo altrettanto forte e chiaro.

E’ facile ignorare la responsabilità quando si è soltanto un anello intermedio in una catena di azioni.

Stanley Milgram

La costruzione di un network di progetto funge da facilitatore ed aumenta il peso politico dello stesso. Per un’azienda produttrice di utensili, riuscire a realizzare una campagna commerciale con il supporto o senza il supporto dei sui principali fornitori produce effetti decisamente diversi. Quando si riesce a creare una “cordata” di enti, aziende, persone, interessate agli esiti del progetto, il progetto ha più motori e più propulsori.

Per un club sportivo intenzionato a promuovere una nuova disciplina, il supporto di una federazione nazionale (che faccia sentire il proprio peso politico, e organizzi una dimostrazione pratica con atleti di alto livello) può fare la differenza.

Per un produttore di software, poter disporre di testimonianze dei principali clienti sui benefici ottenuti grazie alle soluzioni progettate, farli partecipare di persona come testimonial di un evento informativo, rappresenta un fattore critico di successo. In tutti questi casi, la sinergia tra attori di mercato aumenta il risultato finale dell’operazione.

Nel caso precedentemente riportato (l’azienda Secure) la campagna commerciale per la sicurezza degli stabilimenti chimici aveva negli Assessori all’ambiente e Sindaci dei comuni del territorio un cardine fondamentale, sia per il potere di boicottaggio che essi potevano assumere verso gli “inadempienti” alla fase di verifica della sicurezza in azienda, che per il potere di facilitazione del progetto o di co-finanziamento.

Deve essere tuttavia evitata la frammentazione decisionale: uno specifico ente o azienda – uno solo – deve assumere la leadership di progetto e i partner devono accettare le regole decise dal Project Leader.

Nella definizione delle partnership il problema principale dell’azienda è quello della motivazione dei partner stessi. Il leader deve porsi il problema di collocare – sul piatto della bilancia – ritorni importanti, inclusa l’immagine del far parte del progetto ma anche la visibilità, opzioni di incremento delle vendite, e altri ritorni, che siano in grado di motivare e incoraggiare un’effettiva partecipazione dei partner. 

La partecipazione dei partner può essere ripagata tramite ritorni d’immagine chiari (presenza del logo su ogni comunicazione) e/o anche tramite aumenti di vendite verificabili, e altre forme di ritorno per cui i partner non stiano solo “facendo un favore” (“nessuno fa niente per niente”, è un detto decisamente applicabile nel campo del business), ma ricavino concreti benefici dal partecipare alla campagna.

In un certo senso, la vendita del progetto ai partner è un sotto-piano di comunicazione innestato nella campagna. Se questo fallisce l’azienda si troverà a gestire la campagna da sola, contando su risorse e apporti esterni che non perverranno mai.

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Il team ed il coordinatore del progetto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Project Leader e i membri del team

clear

Ogni progetto deve possedere una chiara leadership, e soprattutto, attivare meccanismi di comunicazione interna chiari, tempestivi, non dispersivi (tecnicamente, si tratta di Comunicazioni Operative)[1].

Ognuno nel team deve aver chiari in se alcuni principi chiave :

Li esponiamo tramite il principio-guida:

Principio Organizzazione della comunicazione

  • Ridurre al minimo i problemi per gli altri membri del team – principio della minimizzazione dei problemi altrui;
  • Mai operare in stato di confusione, caos, entropia; chiarire i dubbi. Mai lasciarli lievitare. Confrontarsi ogni volta che serve, meglio una volta in più che una volta in meno.
  • Colmare ogni gap informativo importante prima di agire; agire nel buio informativo non è bene.
  • Evitare di parlare a vanvera e fare perdere tempo alle persone su questioni estranee alla campagna, quando siamo in riunioni inerenti la campagna.
leadership

Il coordinatore non deve necessariamente essere il massimo esperto aziendale in comunicazione o marketing. La sua dote principale consiste nella capacità di coordinare le persone, monitorare le azioni, i risultati e i costi. In altre parole: la leadership. 

Deve saper scegliere consulenti preparati e formare i propri collaboratori al lavoro in team. Deve rapportarsi ai propri consulenti interni ed esterni con capacità di motivazione e monitoraggio. 

La sua funzione primaria si connota come “facilitatore di processo”, motore di azioni, controllore di scadenze, gestore di relazioni e di risorse.

identificazione della leadership

Senza l’identificazione della leadership di progetto il programma avrà certamente una fine ingloriosa. Risultati negativi accadono anche quando la leadership è assunta da più persone senza che siano chiarite le rispettive responsabilità.

Ogni progetto di comunicazione deve essere affidato ad un Project Leader o Project Manager chiaramente identificato.

Allo stesso tempo, devono essere identificate le persone o strutture che comporranno il campaign team. Ogni professionista, collaboratore, fornitore, partner o manager che ricopre una funzione chiave nel processo decisionale deve essere identificato. 

Di assoluta importanza e priorità è decidere quali siano i confini dei ruoli. Ad esempio, chi deciderà la strategia del messaggio? Il creativo o lo psicologo, o il direttore commerciale? 

chi fà cosa

Se non chiariamo prima i confini del “chi fa cosa” la campagna sarà un continuo susseguirsi di rimpalli di responsabilità o lotte di potere, e in un caso o nell’altro non ne uscirà nulla di buono.

Non vi è nulla di male ad assegnare (in fase progettuale) una responsabilità a chi poi scopra di non poterla adempiere per vari motivi. I confini dei ruoli possono variare mentre la campagna procede, e anzi questo dinamismo dei ruoli è uno degli elementi importanti che distingue le organizzazioni rigide da quelle elastiche. Ciò che non deve accadere è che i ruoli cambino “per caso”, “a discrezione”, o vi siano un giorno e spariscano il giorno dopo. In ogni organizzazione la certezza della responsabilità nominale (un nome per ogni responsabilità) è un ingrediente fondamentale.

In questa fase dovremo quindi preoccuparci di decidere i main-tasks (compiti principali) dei membri del team, mentre nella fase di Gantizzazione (fare tabelle di chi fa cosa e quando) ci si occuperà della stesura dei dettagli (tempistiche, scadenziari, azioni programmate).

Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.

Dalai Lama


[1] Trevisani Daniele (2016), Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team, Milano, Franco Angeli.

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Il copione che hanno scritto per te. Il copione che ti sei scritto. Identificato. Identificabile. Perché fai quello che fai?

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Riprendere possesso dell’intera vita: il lavoro sui “copioni di vita” (Life Scripts) per sganciarsi da modelli tossici e avviare nuovi tempi del nostro film

Se sei un virus, la tua vita è molto semplice, il tuo copione di vita altrettanto. Cercherai di infettare qualcuno, diffonderti, replicarti, poi morirai. Ma il tuo DNA, se la strategia è vincente, sarà sopravvissuto.

Se sei una farfalla, il tuo copione di vita è altrettanto semplice. Non puoi evitare di essere prima un bruco, di essere “brutto e ripugnante”, ma poi evolverai in qualcosa che è in grado di volare, di librarsi in aria, con colori a volte bellissimi. Nel tuo copione di vita c’è scritto “evolvi, trasformati, vola, riproduciti, muori, segui le leggi della natura”. Ma, attenzione, c’è anche scritto “scappa dai predatori”.

Man mano che saliamo nella complessità degli esseri viventi, i copioni si fanno più ampi, diversificati. Per l’essere umano, solo fino a qualche generazione fà, e non per tutti, il copione era predefinito. 

Servono braccia in campagna, farai il contadino, ti sposerai, farai altri figli-operai, andrai in Chiesa, e via così. Se eri nato in Kenia o in Giappone le cose sarebbero andate diversamente ma sempre secondo un copione nel quale avevi davvero poca voce in capitolo.

Il miracolo avviene quando invece puoi scorrere il tuo film di vita come un osservatore esterno. Puoi renderti conto che ruolo stai giocando. Cominci a chiederti in che “tempo” siamo di questo film. Comincia a prendere forma la coscienza su quale sia il personaggio che stai inconsapevolmente recitando (es, l’eroe, l’avventuriero, lo sfortunato, l’impotente, il nobile). E, cosa veramente non da poco, decidi di cambiare copione o farne cambiamenti in una direzione “tua”, decisa da te.

Vi sono molte tecnicalità in questo lavoro e non a caso tali operazioni sono mestieri specifici, come il coaching, il counseling, e (per alcuni casi) la psicoterapia. 

Tuttavia non è necessario essere malati per lavorare sui propri copioni di vita e sugli “spezzoni di copione”. Appropriarsi sempre più intensamente della propria vita è sano, a prescindere da qualsiasi condizione tu sia.

Quando un atleta scende in campo, sta già mettendo in azione il suo copione personale ed entra in campo non solo un paio di gambe ma anche la sua immagine mentale di sè e l’idea che si è fatto della probabilità di vincere o di perdere. Entra in campo, in pratica, anche la sua “aura”, per quanto intangibile.

Eric Berne, già agli albori di questa consapevolezza, parlava della necessità di “disattivazione dei copioni di vita” per aiutare le persone ad uscire da copioni tossici e perdenti. 

Eric Berne[1] distingueva tre grandi categorie di persone, “perdenti” (losers), non-winners” (non-vincenti), e “winners”, dove “un vincitore è definito come una persona che adempie il suo contratto con il mondo e con se stesso“. 

Per Berne, l’oggetto della psicoterapia era quello di “spezzare i copioni e trasformare i perdenti in non vincitori (“Fare progressi”) e i non vincitori in vincitori (“Stare bene”, “Ribaltare”, e “Vedere la luce”).

Secondo Berne, i copioni si costruiscono in tenerissima età, già dai 2 anni, e formano una sorta di imprinting che l’individuo seguirà per tutta la vita, se non avviene un’azione che nel metodo HPM chiamo “enlightment” o illuminazione e presa di consapevolezza. 

Spesso questa presa di consapevolezza è uno shock, ma uno shock che fa bene.

Alcuni esempi di “ingredienti” di un copione perdente si possono riconoscere sia dalle conversazioni che dai pensieri che emergono in un colloquio di counseling

  • Io non merito
  • Io non posso
  • Non sono all’altezza
  • Forse
  • Non si può
  • Non va bene
  • Tanto non serve a niente

Può contenere anche ingiunzioni come:

  • Lamentati molto e spesso
  • Tu no

Alcuni esempi di un copione vincente possono includere pensieri del tipo

  • Sii coraggioso nella vita
  • Vivi a pieno
  • Non tirarti indietro
  • Le cose si possono provare e sbagliare senza che questo ti faccia diventare un perdente
  • Tu vali a prescindere dai tuoi beni materiali
  • Tu puoi risplendere spiritualmente
  • E’ bello circondarsi di persone positive
  • Tu meriti felicità
  • Non devi dimostrare niente a nessuno.

Esercizio

Immagina per un momento di essere un robot con una scheda di memoria inserita alla base del cranio, che si può togliere e inserire a piacimento. 

Immagina come cambierebbe il tuo modo di camminare, di decidere, di fare la tua giornata, o il tuo anno, inserendo la scheda “atteggiamento mentale positivo ed energie elevate” e come cambierebbe se inserissimo la scheda “sono un perdente, atteggiamento mentale negativo, basse energie”.

Ecco. Cosa ci sia essere scritto in quella scheda, è in larga misura stato definito dalla nascita e modellato da genitori e società. 

Prova a scrivere cosa vorresti vi fosse codificato in quella scheda:

Ruoli graditiSensazioni graditeAzioni gradite
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   

Possiamo auto-programmarci per diventare noi stessi gli autori di un programma di vita che ci giri dentro in modo migliore di quello appreso sinora? Si

Le persone vivono spesso degli Script e programmi scritti da altri per loro e per soddisfare bisogni altrui, e non delle vere vite decise da loro[2].

Sulla nostra vita, noi possiamo impegnarci per riscrivene almeno una parte, e perché no, una parte molto ampia e significativa.

Ma come si cambia un copione di vita. Innanzitutto serve molto esercizio. E questo esercizio deve aiutarci ad esplorare i nostri limiti, conoscerli, avvicinarsi ad essi, e gradualmente superarli.

La “consulenza di processo personale” (CPP) e altre forme di analisi si prefiggono di mettere in moto i meccanismi del processo di crescita personale o fisica e dare plasticità e impulso a questa crescita. Crescita che non è solo o per forza avere di più, ma avvicinarsi di più alla vita che ha senso vivere.

Esiste un vero e proprio “allenamento al Sentire” e uno al progredire. Come fa notare Kabat-Zinn, è una questione di incontro con i propri limiti, questo sia nel corpo (che spesso è una vera incarnazione o messa in scena di un copione, per fattezza e aspetto) che nel modo di pensare:

il corpo di ciascuno è diverso: perciò ciascuno deve imparare a conoscere i propri limiti. E il solo modo per imparare a conoscerli è esplorarli delicatamente e consapevolmente per un periodo di tempo prolungato.

Facendo questo scopri che, qualsiasi siano le tue condizioni fisiche, quando lavori con perseveranza e consapevolezza in prossimità dei tuoi limiti, quegli stessi limiti tendono a recedere. Per esempio, il punto fino a cui puoi portare una certa posizione o il tempo per cui sei in grado di mantenerla non sono dati fissi e immutabili. Perciò, anche le tue opinioni su quello che puoi o non puoi fare non devono essere rigide: il tuo corpo, se lo ascolti attentamente, ti può rivelare una realtà in continuo mutamento.[3]

Così come si può fare con il corpo, si può fare questo allenamento sottile sulle emozioni, sulle nostre destinazioni di vita, fino ad arrivare a farcele il più possibile amiche e compagne, volute e dirette da noi.

Parlando di libertà, non esiste prigione peggiore del pensiero che le cose – corpo, mente, anima, relazioni, storia di vita – siano immutabili per sempre e che a noi non resti che rassegnarci senza lottare. 

Possiamo scoprire i nostri stati dell’ego che operano in modo “covert” (cioè all’oscuro di noi, in modo sotterraneo), e solo allora ce ne potremo disfare.[4]

Uno spirito combattivo, una forza consapevole del proprio valore, delle possibilità che possiamo innescare, la forza della volontà e la continuità nel crescere, sono una base fondamentale per una vera e nuova libertà.

Disattivazione dei Copioni di Vita, anche in azienda

“Niente ha maggiore influenza psicologica sul loro ambiente 

e specialmente sui loro figli, della vita non vissuta del genitore”. 

Carl Gustav Jung. 

Con questa frase, Jung ci ammonisce, ci segnala un possibile enorme rischio per la libertà individuale. Il fatto che un genitore proietti sui figli tutte le speranze non andate a buon fine, tutti i sogni che non è riuscito a realizzare, tutte le lauree o diplomi mancati, specializzazioni o abilità che non è riuscito nella sua vita a portare avanti. 

Tutto questo carico viene trasferito sui figli, che portano nella loro vita un enorme peso: soddisfare le aspettative trasmesse, su quanto i genitori non hanno saputo essere. 

Questo succede anche con estrema forza nelle aziende, nei passaggi generazionali, e nel come vengono a formarsi i manager nell’Acquario Comunicativo Aziendale in cui sono immersi.

Ma torniamo alla partenza. I genitori, consapevolmente ma molto più spesso inconsapevolmente, creano copioni di vita (Life Scripts), scrivono copioni di film immaginari dei quali i figli possono solo essere comparse ma mai veri protagonisti e registi. Non accade sempre, non accade per tutti, ma è un fenomeno molto frequente e pervasivo persino in tutto il mondo animale.

I leoni giocano a lottare con i leoncini per insegnargli a lottare, nella loro mente quel leoncino deve saper lottare perché nel codice genetico è scritta la pulsione a far continuare la specie, quindi si prodiga per far diventare il proprio figlio un forte capobranco e fare parte del clan, e non certo finire in un circo. I programmatori insegnano ai propri figli a programmare, magari con il gioco, i terroristi fanno giocare i loro figli con bombe e fucili e si vedono foto di famiglie intere di integralisti con bambini in divise militari e armati fino ai denti. E così si formano terroristi che forse in una famiglia diversa sarebbero diventati insegnanti, militari che non volevano essere militari, medici che diventano medici per emulazione ma soprattutto per soddisfare i Life Scripts assorbiti nella famiglia di provenienza.

Copioni pieni di paure generano vite piene di paure, da cui sottrarsi prima possibile.

Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà. 

Lucio Anneo Seneca,Lettere a Lucilio, 62/65

Un grande moto di emancipazione per ogni buon genitore è cercare di non infliggere i propri insuccessi, fermarsi dal volere che i figli siano “ciò che non si è potuto essere”, cercare di capire quali sono le vere attitudini e aiutare ad esprimere il vero potenziale umano della persona.

Per il lato dell’essere “in vita” e quindi persone che hanno certamente e per forza subito qualche forma di “Life Script”, magari inconsapevole, c’è un grande lavoro da fare per ripulirsene. Soprattutto, perché i “Life Script” prendono anche forma di “atteggiamenti appresi”, es pressapochismo, o indecisione, o arroganza, tutto quanto si trasmette verso i figli con l’esempio e con l’immersione nell’acquario familiare e non tanto con messaggi espliciti.

Nelle aziende, i “modelli di Leadership” (es, buonista, arrogante, decisionista, attendista, etc) sono quanto di più subdolo possa esistere e passano da persona a persona spesso per emulazione, rimanendo nella cultura aziendale per generazioni dopo generazioni di manager. Non se ne vanno dall’azienda se non con interventi di formazione seria ed esperienziale, coaching e non certo tenere “ammonizioni verbali al cambiamento” che nessuno veramente nessuno ascolta.

Capire a quali messaggi impliciti siamo stati esposti, quali modelli di vita abbiamo respirato, “cosa abbiamo respirato da chi”, per capire anche di cosa vogliamo adesso liberarci con presa d’atto di libertà, è un gesto eroico e coraggioso. E non basta farlo una volta. 

“Possiamo chiudere con il passato, ma il passato non chiude con noi.” 

(William Shakespeare, da “Il mercante di Venezia”)

Se vogliamo chiudere con un modello appreso, o se vogliamo riprendere in mano il Copione di vita, o procedere alla “disattivazione dei Copioni di vita” che stiamo vivendo nostro malgrado, serve impegno, tempo, supporto professionale.

Quando un “pattern” (modello comportamentale o di atteggiamento) viene riconosciuto come tale, il fatto di decidere di tenerselo o disfarsene ha un suo costo psicologico. Incluso il costo e boccone amaro ma necessario, di comprendere che non stiamo “offendendo i genitori e antenati” se decidiamo di prendere in mano le redini della nostra vita, ma anzi questo è un nostro diritto inviolabile. Una volta che decidiamo di cambiare, il cambiamento richiede esercizio continuativo, coaching, counseling, formazione, e tanta costanza. Non solo chiacchiere. Perché il passato che abbiamo dentro, non si rimuove come un abito esterno, ci vive dentro, ed è ciò di cui siamo composti.


[1] Berne, E. (1961) Analisi transazionale e psicoterapia, Roma, Astrolabio-Ubaldini, ISBN 978-88-340-0019-9

Berne, E. (1966) Principi di terapia di gruppo, Roma, Astrolabio-Ubaldini, ISBN 978-88-340-1066-2

Schiff, J.L. et al. (1975) Analisi transazionale e cura delle psicosi, Roma, Astrolabio-Ubaldini, ISBN 978-88-340-0679-5

Berne, E. (1977) Intuizione e stati dell’Io, Roma, Astrolabio-Ubaldini, ISBN 978-88-340-1066-2

[2] Steiner, Claude M., Scripts People Live, Grove Press, Reprint Edition, 1990

[3] Kabat-Zinn, Jon (2016). Vivere momento per momento. Milano, Garzanti, p. 148-149.

[4] Helen H. Watkins, John G. Watkins  Ego States, Theory and Therapy

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Il segreto della libertà nascosto nel tuo corpo

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

L’ascolto delle emozioni nel corpo, via dal “Deserto Emozionale”

Sempre Reich è responsabile dell’elaborazione del concetto di “Deserto emozionale”. Lo troviamo nei gruppi, nelle famiglie, a volte nelle aziende, o persino dentro di noi.

Una vita priva di emozioni, o di emozioni molto deboli, annebbiate, la negazione dei propri bisogni, degli impulsi naturali, la corazza caratteriale, un progressivo impoverimento della vita affettiva, un crescere dell’immobilità. 

Allora, arriva la povertà emozionale, l’anestesia da qualsiasi cosa compreso il senso di vivere, con un sottofondo costante di emozioni negative soffocate le cui ragioni restano inascoltate. Viene meno la capacità di entusiasmarsi e di gioire. 

Nel “funzionamento corazzato”, in cui sensibilità, grazia, armonia e spontaneità naturali sono bandite e perseguitate.

Allora, una vita viene perduta, sprecata, nel silenzio e nella sofferenza.

È importante invece partire dall’ascolto. Dall’auto-ascolto prima di tutto.

E ritornare ad attività fisiche in cui la sensibilità del movimento, la grazia e armonia, possano fare breccia nell’anima passando per il corpo. 

Dalle arti marziali alla danza, dal Tai-Chi al Daoshi, fino alla Bioenergetica, e tante altre forme espressive: ogni movimento armonioso aiuta a ripristinare le condizioni di sensibilità umane.

L’ascolto delle proprie emozioni e come si manifestano nel corpo è un processo complicato e delicato, che può essere allenato per aumentare la propria coerenza comunicativa, comunicare in modo più allineato e vero rispetto ai nostri sentimenti. 

Le tecniche di “elicitazione” emotiva (far nascere un’emozione) si perdono nella notte dei tempi, codificate dal teatro greco (Aristotele, nei suoi lavori su Poetica e Retorica, parla proprio di questo), e sono oggetto di studio anche della psicologia contemporanea[1].

La psicologia scientifica, pur con tutti i suoi meriti, si perde spesso nei meandri della parte “tangibile” dell’emozione (neuroscienze, attivazioni di zone cerebrali e di sistemi ormonali) e perde il senso esistenziale profondo, di segnalatore di una vicinanza o lontananza dalla vita che vogliamo veramente. Il sentire corporeo, al di là dell’espressione verbale, “a parole” di come ci si sente, è un sentire molto più vicino alla verità.

Questo “sentire corporeo” è alla base dei lavori pionieristici sulla Bioenergetica di Alexander Lowen, e del Focusing di Eugene Gendlin.

Anche la psicologia si interessa sempre più al corpo.

Il settore di studio della psicoterapia corporea è quel settore di studio che non si limita alla parola o al colloquio terapeutico, ma cerca nel corpo risposte che la voce non potrà mai dare da sola. 

Il lavoro di George Downing[2] è un magistrale esempio di integrazione tra procedure verbali (colloquio terapeutico) e lavoro sul corpo. Il lavoro sul corpo può prendere forme anche molto blande e sottili, come la semplice osservazione del respiro, per passare poi anche a manovre tattili o di amplificazione dei movimenti. Tutte queste azioni sono sempre e comunque non tanto di tipo ginnico ma volte ad amplificare la libertà di sentire, la possibilità di “liberarsi dalle oppressioni represse nel corpo” e tornare ad un contatto vero con se stessi. 

Domande che il terapeuta pone sono ad esempio, in genere parlando di sensazioni corporee, e dopo una fase di colloquio verbale:

  • Che cosa provi?
  • Che cosa provi nel tuo corpo?
  • Dove si manifesta questa sensazioni di… (segue “rabbia”, “speranza”, e altre)?
  • Con che cosa sei in contatto?
  • Che sensazioni corporee avverti?
  • Quali emozioni provi in questo momento?
  • Che associazioni ti vengono in mente su questo? (ad esempio, dopo avere osservato che il respiro è leggermente affannoso o corto)

Questo è solo un cenno di un sistema molto complesso che può includere manovre fisiche (collegate anche al metodo Feldenkreis), attivazioni ed esercizi soprattutto esperienziali, che richiedono cura e studio da parte di chi li dirige.

Come spiega lo stesso Downing, 

In altri termini, con questo metodo le emozioni che sorgono durante il processo corporeo vengono esaminate con attenzione e cura. Ma lo scopo principale non è la catarsi o la liberazione. Si perseguono invece, principalmente, almeno tre finalità: far acquisire al paziente una chiara percezione dell’emozione con tutte le manifestazioni corporee che essa presenta; aiutarlo nella ricerca di un linguaggio minimo capace di descriverla adeguatamente; fargli compiere almeno un primo passo verso la scoperta dell’oggetto dell’emozione (il suo referente).[3]

Molto interessante per il nostro concetto di libertà è il fatto che l’emozione venga considerata una parte visibile (il segno) di processi molto remoti e più sbarrati al nostro accesso, processi interni (i referenti). 

Noi siamo ripieni di casi di vita, ricordi, ambizioni, aspirazioni negate, successi dimenticati, e tanto altro, elementi con i quali entrare in contatto è una conquista e atto di grande libertà.

Ridurre la tensione muscolare cronica delle persone, cercare di alleviare i blocchi che impediscono un libero flusso respiratorio, ampliare il movimento corporeo e ridare libertà al corpo e al pensiero è uno dei nostri passaggi verso la libertà profonda.

E questo non deve rappresentare solo un vago sogno, ma, come ci ricorda lo studio della psicologia del tempo, per scatenare motivazione occorrono “attività realistiche tese alla fruizione di mete ravvicinate e concretamente manipolabili dal soggetto[4]”.

In altre parole. Obiettivi concreti e attualizzabili. Questo è ciò che qui anticipiamo, e soprattutto nei nostri corsi si apprende a fare manualmente, concretamente, “hands-on”.


[1] Coan, J. A., & Allen, J. J. B. (2007). Handbook of emotion elicitation and assessment. Oxford ; New York: Oxford University Press.

[2] Downing, George (1995). The Body and the Word. A direction for Psychotherapy. Edizione Italiana: Il corpo e la parola. Astrolabio Ubaldini, Roma.

[3] Ibidem, p. 54.

[4] Ricci Bitti, P.E., Rossi, V. Sarchielli, G. /1985) Vivere e progettare il tempo. La prospettiva temporale nel comportamento umano. Milano, Franco Angeli, p. 125.

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