Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del Team

Articolo a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Motivare un individuo o un gruppo di lavoro in ambito professionale può rivelarsi un’impresa difficile. 

Risvegliare quel desiderio a contribuire, a devolvere le migliori intenzioni e energie ad ogni singola prestazione, è come partire per un lungo viaggio che attraversa la storia individuale e la personalità di ciascun collaboratore. 

Per essere produttivi è necessario stare bene con sé stessi. Ogni responsabile dovrà fare in modo che i propri collaboratori si sentano a proprio agio nel contesto in cui si trovano ad operare, sia a livello personale che professionale.

Come riuscire a trovare le chiavi di successo che possano far sentire ogni singolo collaboratore parte di qualcosa di speciale, di arricchente che doni gratificazione, stimolo e senso di appartenenza?

Il Modello 4Colors® è un valido supporto in quanto permette di decodificare 4 Personalità-Colore che corrispondono a specifiche tipologie di comportamento, stile di pensiero e processo decisionale, e riconoscere ciò che è davvero importante per ogni componente del Team.

Collaboratore Rosso: [1]

  • È concentrato sui risultati e estroverso; cerca sempre di distinguersi dal gruppo. 
  • È come una forza motrice che traina gli altri membri che tendono a seguirlo. 
  • Orientato all’azione, è anche veloce agli occhi di coloro che preferiscono pensare a fondo prima di agire. 
  • Reattivo, ha difficoltà a tollerare che gli altri non vadano alla sua velocità. 
  • Può essere molto critico nei confronti degli altri rossi della squadra con cui è in competizione, così come delle decisioni prese dal suo capo, dal quale si aspetta una competenza estrema e un modello da seguire. 
  • A seconda della situazione, può diventare un leader positivo o un leader negativo. Gioca il ruolo di “capitano”, il capitano della squadra o del progetto. 

Fattori chiave: dominare – combattere – sfidare – superare sé stessi.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Giallo: 

  • È concentrato sulle relazioni ed estroverso; il giallo è quello con la più naturale propensione a comunicare e a interagire in quanto ha “bisogno degli altri”. 
  • Un giallo in una squadra è come il tuorlo in una maionese! Porterà il suo dinamismo, il suo entusiasmo, il suo calore, il suo umorismo, il suo senso del compromesso per mantenere attive le connessioni con tutti gli altri.
  • Ha un enorme bisogno di riconoscimento e ama essere visto nella sua “unicità” e “preziosità”.
  • Lavora bene solo in un’atmosfera piacevole che tende a far dimenticare l’orientamento ai risultati. 
  • Per lui è difficile non poter piacere a tutti, soprattutto ai blu che sono infastiditi dalla sua estroversione e dalla sua energia esuberante. 
  • Svolge il ruolo di colui che sforna idee originali, stimoli innovativi e creatività.

Fattori chiave: influenzare – creare – giocare – lavorare con piacere.

Collaboratore Verde:

  • È orientato alle relazioni ma introverso, mostra grande capacità di ascolto, empatia e rispetto per gli altri.
  • È riconosciuto come un membro flessibile con cui è facile cooperare. 
  • È disposto ad accettare le decisioni degli altri pur di evitare conflitti. 
  • Messo in una situazione di stress, come in un contestoi di cambiamento, può sviluppare una sorta di “immobilismo” caratterizzata da una lentezza estrema che irriterà i rossi. 
  • È il guardiano della coerenza e della perseveranza e tende a costruire relazioni profonde, durature e fedeli.

Fattori chiave: essere utile agli altri – portare stabilità e coerenza al gruppo – prendersi cura delle persone.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Blu:

  • È orientato al compito e introverso; è il meno compatibile per natura a lavorare in gruppo in quanto preferisce lavorare da solo (possibilmente con la porta chiusa).
  • Il suo essere riflessivo e metodico, aiuta ad analizzare in profondità ogni compito infondendo calma e sicurezza al gruppo. 
  • È prezioso per perseguire compiti complessi a lungo termine ai i quali riserverà sempre lo stesso livello di cura e impegno.
  • Il suo senso del rigore gli impedisce di lavorare e divertirsi allo stesso tempo. 
  • La sua mancanza di leggerezza e la sua eccessiva rigidità possono generare conflitti con i gialli. 
  • I rossi lo criticheranno per essere troppo perfezionista, troppo lento e poco assertivo. 
  • È colui che raccoglie tutte le informazioni necessarie prima di iniziare qualsiasi compito e verifica con estrema pignoleria le criticità di ogni progetto.

Fattori chiave: perseguire alti standard di qualità – sicurezza – analisi delle criticità – pianificazione e metodo – cura del dettaglio.

Salvaguardare I fattori chiave di ogni Personalità-Colore significa lavorare per alimentare le energie motivazionali di tutto il Team. 

Ogni volta che ogni singolo collaboratore si sentirà accettato, apprezzato e vedrà riconosciuta l’unicità del suo contributo al gruppo, sarà stimolato a contribuire al team stesso di cui fa parte o al suo benessere complessivo.

Se vuoi approfondire il Modello 4Colors® trovi un’altro articolo qui: Il Processo creativo a colori – Approcci alla creatività e al Problem solving nei Team



[1] Manager avec les couleurs; Forger son propre style. Motiver chaque collaborateur. Maitriser les situations de management – B. Boussuat, P. David, J.M. Lagache – Dunod, Paris 2008.

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Emozioni. Articolo e video

Saper ascoltare le emozioni è una competenza fondamentale sia per i manager che per chi vive ogni giorno a contatto con le persone. In questo articolo e nel video correlato, tratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia”, Franco Angeli editore, Milano. Con nostre modifiche, specifichiamo alcuni passaggi chiave

Emozioni Sottili

Ascoltare le emozioni. Emozioni e comunicazione

Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.

Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchik sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.

Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[1] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni. Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.

Figura 1 – Ruota degli stati emotivi (Plutchik)[2]

(grafica adattata dal modello originale, con riferimento in bibliografia, Plutchik 1980)

 

 

emozioni - ruota di plutchickInevitabilmente, in uno scambio comunicativo, abbiamo sempre un sottostante scambio di emozioni.

Alcune persone sono bravissime e rapidissime nel cogliere le proprie emozioni interne, dirigerle, dominarle, farne l’uso che vogliono. Ad esempio, parlare in pubblico davanti a migliaia di persone senza provare il minimo di ansia.

Altre persone invece sono vittime delle emozioni, possono diventare vittime di un amore cieco e sordo ad ogni diniego, e perseverare nell’amare una persona che non le ama, o non ha nemmeno mai dato segni di amore. Possono provare paura persino del pensiero di parlare in pubblico, e temerlo come il peggiore dei veleni.

Ogni situazione comunicativa (COMSIT) può avere specifici significati e sottofondi emotivi. Le COMSIT sono specifici frames o momenti comunicativi che possono essere distinti gli uni dagli altri, come il dialogo tra amici, o il litigio, o il dare spiegazioni stradali, e mille altre possibilità date dalla vita di relazione. In ciascuna COMSIT, si presentano gradi diversi di incomunicabilità e diversi tipi di emozioni.[3]

Emozioni. Cosa fare per imparare l’intelligenza emotiva

Ma allora cosa fare. La strada, l’unica vera strada, è “allenarsi alle emozioni”. E detta così sembra come “allenarsi a vivere”, qualcosa di intangibile. Ed è proprio quell’allenare l’intangibile che fa dell’”allenamento alle emozioni” un esercizio di grande intelligenza emotiva. E una raffinata palestra di Coaching Esperienziale, per chi progetta esercizi di formazione attiva sulle emozioni.

Si tratta di fronteggiare le emozioni in un “laboratorio emotivo” dove queste possano essere sperimentate e poi “sbobinate” con il supporto di un formatore, coach, Counselor o psicologo, in funzione del tipo di intervento.

Quando si lavora su gruppi aziendali e non su situazioni di patologia clinica, certamente la figura del formatore e del Counselor possono essere il riferimento. Questi “laboratori sulle emozioni” devono essere formulati ingegneristicamente, possono utilizzare video, immagini, lettere, dialoghi a tema, ed ogni tipo di esercizio che coinvolga le emozioni.

Come ci dice Howell[4] parlando delle nostre “incompetenze emotive inconsapevoli”, all’inizio troveremo il tutto un pò stupido o saremo “imbranati”, ma poi “scaleremo” questa vetta, passo dopo passo, sino a giungere ad una forte competenza emotiva.

E del resto, questa è necessaria tanto più è elevata la posizione di carriera. Si pensi alle necessità di equilibrio emotivo di un Giudice, o di un Chirurgo, o di un operatore delle Forze dell’Ordine, o in situazioni specifiche come tirare un rigore, o in sport difficili ed estremi dove le emozioni sono tutto, o quasi tutto.

Le emozioni sono spesso miste, un incrocio tra diversi stati emotivi, come vediamo in questa figura, dove vengono mostrati i collegamenti primari, secondari e terziari tra le diadi di emozioni nel modello di Plutchik.

Figura 2 – Grafico che mostra le diadi primarie, secondarie e terziarie sulla ruota delle emozioni di Plutchik[5]

 

connessioni emotive emozioni plurime emozioni miste

I collegamenti tra stati emotivi producono emozioni variabili a cui partecipano più stati emotivi (Mixed Emotions), che sono in realtà la nostra verità emotiva di tutti i giorni.

Emozioni sottili. Video di approfondimento

[1] Plutchik , Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic

Plutchik Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association

Plutchik Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality and Emotions, Washington, DC: American Psychological Association

[2] Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Emotion#/media/File:Plutchik-wheel.svg By Machine Elf 1735 – Own work, Public Domain, ttps://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13285286

[3] Trevisani, Daniele (1992). A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication; published in “Proceedings of the International and Intercultural Communication Conference”, University of Miami, FL., USA, 19 – 21 May 1992.

[4] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company

[5] Fonte: Wikimedia Commons https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Plutchik_Dyads.svg

  • Quali sono le emozioni?
  • Quanti e quali sono gli stati d’animo?
  • Quali sono le emozioni più forti?

Elenco delle emozioni. Fonte Wikipedia con nostre rielaborazioni

Emozione

Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multicomponenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve[1].

In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.

Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.

Reazioni psicofisiologiche

Secondo la teoria diencefalica di Cannon-Bard ,[2][3] lo stimolo emotigeno, che può essere un evento, una scena, un’espressione del volto o un particolare tono di voce, viene elaborato in prima istanza dai centri sottocorticali dell’encefalo, in particolare l’amigdala, che riceve l’informazione direttamente dai nuclei posteriori del talamo (via talamica o sottocorticale) e provoca una prima reazione autonomica e neuroendocrina con la funzione di mettere in allerta l’organismo. In questa fase l’emozione determina quindi diverse modificazioni somatiche, come ad esempio la variazione delle pulsazioni cardiache, l’aumento o la diminuzione della sudorazione, l’accelerazione del ritmo respiratorio, l’aumento o il rilassamento della tensione muscolare.

Lo stimolo emotigeno viene contemporaneamente inviato dal talamo alle cortecce associative, dove viene elaborato in maniera più lenta ma più raffinata; a questo punto, secondo la valutazione, viene emessa un tipo di risposta considerata più adeguata alla situazione, soprattutto in riferimento alle “regole di esibizione” che appartengono al proprio ambiente culturale. Le emozioni, quindi, inizialmente sono inconsapevoli; solo in un secondo momento noi “proviamo” l’emozione, abbiamo cioè un sentimento. Normalmente l’individuo che prova una emozione diventa cosciente delle proprie modificazioni somatiche (si rende conto di avere le mani sudate, il battito cardiaco accelerato, etc.) ed applica un nome a queste variazioni psicofisiologiche (“paura“, “gioia”, “disgusto“, ecc.).

Secondo la teoria del feedback di James-Lange, l’emozione è una risposta ad una variazione fisiologica. Proviamo emozioni diverse perché ciascuna è accompagnata da sensazioni e reazioni fisiologiche differenti. Tali teorie sono state criticate, in quanto persone con lesioni al midollo spinale esprimono comunque emozioni, inoltre molte espressioni fisiologiche simili causerebbero simili emozioni, difficili quindi da individualizzare. In alcuni casi, specialmente per le forti emozioni, si ha comunque un’associazione diretta tra manifestazione fisiologica ed emotiva, senza però sapere se ne sia causa la prima o la seconda.[4]

Si possono avere delle reazioni emotive, delle quali però si è inconsapevoli, anche in assenza di modificazioni psicofisiologiche, come è stato proposto dal neuropsicologo Antonio Damasio,che distingue due tipi:emozioni primarie(innate,preorganizzate)e emozioni secondarie(elaborate dall’esperienza), attraverso i circuiti del “come se”[5]. Si può inoltre avere una reazione psicofisiologica ma non essere in grado di connotarla con una etichetta cognitiva, come nel caso dell’alessitimia.

Caratteristiche delle emozioni

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Mimica facciale § La mimica facciale nelle emozioni.

Replicando gli studi compiuti da Charles Darwin nel libro pionieristico “L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali” (1872), lo psicologo americano Paul Ekman ha confermato che una caratteristica importante delle emozioni fondamentali è data dal fatto che vengono espresse universalmente, cioè da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili[6]. Come suggerisce il titolo del libro di Darwin, anche gli animali provano emozioni: hanno circuiti neurali simili, hanno reazioni comportamentali simili e le modificazioni psicofisiologiche da essi sperimentate svolgono le stesse funzioni.

Allo stato attuale non è possibile affermare scientificamente che gli animali provino anche i sentimenti, perché ciò richiederebbe che abbiano una forma di coscienza. Ekman, ha analizzato come le espressioni facciali corrispondenti ad ogni singola emozione interessino gli stessi tipi di muscoli facciali e allo stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia. Tale indagine è stata suffragata da esperimenti condotti anche con soggetti appartenenti a popolazioni che ancora vivono in modo “primitivo”, in particolare della Papua Nuova Guinea.

La sorpresa si manifesta sul volto con le sopracciglia alzate e incurvate, la pelle sotto il sopracciglio stirata, rughe orizzontali attraverso la fronte, le palpebre aperte, quella superiore sollevata e quella inferiore abbassata, la mascella si abbassa ma senza alcun stiramento o tensione della bocca. La paura si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia sollevate e ravvicinate, le rughe della fronte sono al centro e non attraversano la fronte, la palpebra superiore sollevata e la bocca aperta con le labbra leggermente tese o stirate all’indietro. Il disgusto si manifesta principalmente nella parte bassa del viso e nella palpebra inferiore, precisamente con il labro superiore sollevato, il labro inferiore sollevato e premuto a quello superiore oppure abbassato e lievemente protruso, il naso arricciato, le guance sollevate, pieghe sotto la palpebra inferiore e sopracciglia abbassate spingendo verso la palpebra superiore. La rabbia si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia abbassate e ravvicinate, rughe verticali tra le sopracciglia, palpebra inferiore tesa ma non necessariamente sollevata, sguardo fisso e occhi che possono sembrare sporgenti, le labbra serrate con gli angoli diritti o abbassati o aperte e tese e le radici possono essere dilatate. La felicità si mostra sul volto attraverso gli angoli della bocca stirati all’indietro e sollevati, la bocca chiusa o aperta, una ruga che scende dal naso fino oltre gli angoli della bocca, le guance sollevate, la palpebra inferiore con rughe sottostanti ma non tesa e zampe di gallina agli angoli esterni degli occhi. La tristezza si manifesta sul volto attraverso gli angoli interni delle sopracciglia sollevati, gli angoli della bocca piegati in giù o le labbra tremanti e l’angolo interno delle palpebre superiori sollevato.

L’emozione ha altresì effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all’esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo.

Lo sviluppo delle emozioni

Secondo John Watson il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite “innate”: paura, amore, ira.[7] Entro i primi cinque anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia, gelosia, invidia. L’evoluzione delle emozioni consente al bambino di comprendere la differenza tra il mondo interno ed esterno, oltre a conoscere meglio se stesso. Dopo il sesto anno di età, il bambino è capace di mascherare le sue emozioni e di manifestare quelle che si aspettano gli altri da lui.[8]

A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattutto quelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre condizioni di disagio psicofisico.[9]

Secondo le indicazioni ministeriali, nei programmi didattici contemporanei, anche nella scuola primaria, diventa essenziale per un insegnante riconoscere gli stati emotivi dei propri allievi e supportarli con il dovuto sostegno ai fini dello sviluppo psichico. Ciò permette loro di relazionarsi, attraverso un lavoro costante di costruzione, è possibile ricostruire le eventuali caratteristiche che alterano la normale crescita.[10].

“La scienza del sé” è una disciplina per insegnare a scuola le emozioni , ha come obiettivo analizzare i sentimenti propri e quelli che scaturiscono dai rapporti con gli altri, mira a studiare il livello di competenza sociale ed emozionale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare.[11]

Prospettive teoriche sullo sviluppo emotivo

Izard è il principale sostenitore della teoria differenziale, che interpreta lo sviluppo delle emozioni nel bambino secondo una prospettiva categoriale. Secondo questa teoria esistono un certo numero di emozioni innate o universali, il set di emozioni primarie o di base, che in generale comprende la paura, la gioia, la collera, la tristezza e il disgusto. Le emozioni primarie emergono strutturate come totalità, secondo un programma maturativo innato e universale, che con lo sviluppo da luogo alle espressioni emotive riconoscibili. Già dalla nascita esiste una concordanza biunivoca e innata tra espressione facciale ed esperienza emotiva, che garantisce la comunicazione sociale del bambino anche nella fase dello sviluppo preverbale e consente di fare conoscere i propri bisogni all’adulto di riferimento che a partire dall’espressione facciale riesce a riconoscere i segnali del bambino e attivarsi sul piano della cura. Le emozioni non di base, dette anche secondarie, miste e complesse come la vergogna, l’imbarazzo, la colpa e l’orgoglio emergono solo alla fine del primo anno di vita quando è presente la consapevolezza di .

La teoria della differenziazione invece sostiene che le emozioni siano il prodotto di un processo di differenziazione da uno stato iniziale di eccitazione. Sulla base degli studi della Bridge e della teoria “cognitivo-attivazionale” di Schacter e Singer, Sroufe sostiene che nel neonato sarebbe possibile distinguere uno stato di maggiore o minore eccitazione generalizzata, che si differenzierebbe in stati emotivi di sconforto e di piacere. Si possono individuare tre percorsi principali distinti che portano alle emozioni vere e proprie : il sistema del piacere/gioia, il sistema della circospezione/paura e quello della frustrazione/rabbia. Le emozioni fondamentali di gioia, paura e rabbia hanno origine da un precursore che compare precocemente e che costituisce il prototipo della successiva emozione vera e propria. Secondo Sroufe lo sviluppo emotivo avviene in relazione a periodi critici che comportano riorganizzazioni o salti tra una fase e l’altra.[12]

Leventhal e Scherer sono i sostenitori della teoria componenziale, secondo la quale le emozioni si sviluppano a partire da forme semplici e biologicamente radicate fino ad arrivare a configurazioni complesse. Distinguono tre diversi livelli di elaborazione degli eventi: sensomotorio, schematico e concettuale. Lo sviluppo delle emozioni nel bambino consiste nel passaggio lineare e sequenziale da un livello all’altro con la, riorganizzazione e l’arricchimento del significato dell’emozione. Se tra i tre livelli esiste un’integrazione funzionale nel corso dello sviluppo, sembra che i meccanismi riguardanti il sistema sensomotorio siano indipendenti rispetto agli altri due. [13]

Classificazione delle emozioni

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sentimento § Elenco dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d’animo (in ordine alfabetico).

Le emozioni primarie o di base, secondo una definizione di Robert Plutchik[14] sono otto, divise in quattro coppie:

Altri autori hanno tuttavia proposto una diversa suddivisione.

Secondo vari autori, dalla combinazione delle emozioni primarie derivano le altre (secondarie o complesse):

Aspetti patologici

L’alessitimia è l’incapacità o l’impossibilità di percepire, descrivere e verbalizzare le proprie emozioni o quelle altrui.

La componente patologica delle emozioni può essere trattata con interventi di psicoterapia o di counseling con metodi variabili secondo le diverse scuole di riferimento, ma anche secondo valutazione medica, con approcci farmaceutici, in particolare agendo sui neurotrasmettitori che regolano emozioni ed umore.[15]

Importanza clinica delle emozioni

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sindrome tako-tsubo.

Diversi studi in letteratura hanno dimostrato che lo stress e le emozioni negative incidono negativamente sul sistema immunitario, compromettendone l’efficienza di alcune cellule[16]. I dati più significativi sull’importanza clinica delle emozioni provengono da una vasta analisi condotta da Howard Friedman e Boothby-Kewley[17], in cui sono stati analizzati ed elaborati contemporaneamente i risultati di 101 studi più piccoli. I risultati di questa analisi hanno confermato come le emozioni legate alla sofferenza incidano negativamente sulla salute. Più nello specifico coloro che hanno sperimentato lunghi periodi di ansiatristezzapessimismo, sospettosità e ostilità hanno il doppio delle probabilità di sviluppare patologie quali artriteemicraniaasmaulcera gastrica e cardiopatie. Da questi dati si evince chiaramente che le emozioni negative rappresentano un importante fattore di rischio e di grave minaccia per la salute sebbene i meccanismi biologici dietro questa relazione non siano ancora del tutto chiari.

Elenco dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d’animo (in ordine alfabetico)

Note

  1. ^ R. Cartesio, Le passioni dell’anima, pp. 25-28
  2. ^ R. Guardini, ‘’Pascal’’ Morcelliana Brescia 1992 p.173
  3. ^ B. Pascal, Pensieri, Mondadori 1976 p .152
  4. ^ C. Calabi, Leibniz e la felicità mentale in Pratica filosofica 1994 n.4 p.27
  5. ^ Cfr. A. G. Baumgarten, Aesthetica,
  6. ^ Cfr. Vauvenargues, Les reflexions
  7. ^ Cfr. Shaftesbury, Ricerca sulla virtù e il merito
  8. ^ Cfr. D. Hume, Ricerca sui principi della morale
  9. ^ D. Hume, A treatise of human nature, libro II parte III sez.3 p.415
  10. ^ Cfr. D. Hume, Saggi, II
  11. ^ Cfr. D. Hartley, Osservazioni sull’uomo
  12. ^ Cfr. A. Smith, Teoria dei sentimenti morali
  13. ^ I. Kant, Critica del giudizio, I. I. 3
  14. ^ I. Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, p.207
  15. ^ I. Kant, Critica della ragion pratica, I, I, III
  16. ^ Cfr. Friedrich SchleiermacherDiscorsi sulla religione
  17. ^ F. Schlegel, Dialogo sulla poesia in Frammenti critici e scritti di estetica a cura di V. Santoli, Sansoni, Firenze, 1967, pp.212-215
  18. ^ F. Schlegel. Op. cit.ibidem
  19. ^ Cfr. Martin Heidegger, Schelling. Il trattato del 1809 sull’essenza della libertà umana,Guida Editori, 1998
  20. ^ È questo il senso dello “struggimento” romantico (Sehnucht). Vedi: Paolo D’Alessandro, Il gioco inconscio nella storia, ed. Franco Angeli, 1989, p.123
  21. ^ Hegel, Enciclopedia par.47 e sgg.
  22. ^ Cfr. Xavier Tilliette, L’intuizione intellettuale da Kant a Hegel, a cura di Francesco Tomasoni, Morcelliana, Brescia 2001
  23. ^ «Il sentimento di pietà allora è l’unico sentimento morale» in Carlo Mazzantini, L’etica di Kant e di Schopenhauer, Ed. Tirrenia, 1965 p.147
  24. ^ Cfr. H. Bergson, Introduzione alla metafisica
  25. ^ Cfr. A. N. Whitehead, Processo e realtà
  26. ^ Cfr. Husserl, Meditazioni cartesiane, V
  27. ^ Resa con il termine Einfuhlung, simpatia simbolica o empatia, usato per la prima volta nell’ambito estetico nella teoria dell’empatia dallo storico e filosofo dell’arte Robert Vischer (1847-1933)
  28. ^ Introduzione di G. Caronello a M. Scheler,Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori Edizioni San Paolo, 1956 p.56
  29. ^ Cfr. Heidegger, Essere e tempo e Che cos’è la metafisica?
  30. ^ Cfr. J. P. Sartre, L’essere e il nulla

 

 

Padroneggiare le energie e le risorse comunicative per ascoltare meglio

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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L’articolo di oggi ruota attorno alle capacità e consapevolezze che tutti dovrebbero possedere per imparare ad ascoltare e vivere meglio. Per poter padroneggiare queste abilità è però necessario dedicarsi dei momenti di rigenerazione, che permettano di ricaricare le batterie e migliorare quindi il livello di attenzione.

Chi vuole praticare un ascolto attivo deve assolutamente imparare a padroneggiare le proprie energie e le proprie risorse, in particolare la propria risorsa più limitata: l’attenzione. 

L’attenzione è un bene rarissimo.  

In un’ora di ascolto, solo pochi minuti sono veramente dedicati ad una profonda connessione neurale. Larga parte del tempo dell’ascolto, infatti, è purtroppo in balia di forze superiori, come i processi interni all’individuo stesso (pensiero, digestione, respirazione, caldo, freddo, fame, sete, bisogno di andare in bagno, bisogno di muoversi), che crescono con il crescere del tempo. Le conversazioni sono dense di emozioni, di espressioni degli stati del corpo (es. stare bene o stare male) e di tutto ciò che frulla per la testa, sia di chi parla, che di chi ascolta. 

L’economia cognitiva si occupa di portare un po’ di ordine nelle conversazioni, e di sfruttare in modo efficiente le risorse mentali. Una riunione pone problemi elevati di utilizzo delle risorse, poiché esse vanno divise ed “assorbite” sia dal dibattito sui contenuti, che dalla difficoltà comunicativa generata dalla differenza di valori e posizioni. 

I problemi di economia cognitiva diventano quindi ancora più pressanti rispetto alle riunioni aziendali comuni, in cui si fa finta che le persone non abbiano un corpo, e la loro attenzione abbia durata infinita. Per questo, si arriva ad abusare delle capacità attentive, e le conversazioni si fanno sempre più improduttive. 

Possiamo quindi indicare che l’utilizzo del tempo comunicativo e delle risorse mentali diventa una meta-competenza dell’ascoltatore e del professionista. Tra le sue doti si collocano quindi le prioritization skills, le capacità di fissare le priorità.

La sfida dell’ascolto è saperlo usare come risorsa scarsa. Saper rispondere alla domanda fondamentale: di cosa è bene parlareCome gestire il tempo scarso e limitato? Come sollevare le curve di attenzione quando tendono a cadere? 

Ogni conversazione ha un costo elevato.  Proviamo semplicemente a calcolare il costo, all’interno di un’azienda, dell’orario di molti dirigenti che impiegano una mattinata, arrivando in aereo da paesi diversi, oppure pensiamo al costo delle sale e dei materiali, o a quello di preparazione, ecc… 

In famiglia, immaginiamo quanto siano rari e quindi preziosi quei minuti in cui si può parlare dopo aver dedicato tempo al lavoro e agli impegni. 

Le conversazioni quotidiane non sembrano costare, per il semplice fatto che nel nostro tempo libero non veniamo pagati. Ma se consideriamo il fatto che il nostro tempo sulla Terra è limitato, allora faremmo bene a spenderlo il più possibile per renderlo piacevole.

L’attenzione è portare il nostro focus sulle parole, sui significati, sui gesti, sugli sguardi, sulle posture, sul rapporto delle persone con gli oggetti circostanti (es. come li usano), ecc… . L’attenzione è un’arte, e forse è per questo che è così rara e preziosa. 

Ogni gruppo che si riunisce per raggiungere uno scopo può o meno darsi una strategia per ottimizzare le risorse messe in campo durante l’incontro

Le prioritization skills prevedono che il comunicatore si impegni attivamente per definire quali priorità trattare, agendo quindi anche sul formato di un incontro, impostando i termini di base da trattare. Questo significa anche fare scelte molto concrete: di cosa parlare e come parlarne.

Altre priorità riguardano la fissazione di un clima conversazionale positivo: senza il clima adeguato ogni discussione sui contenuti diviene più difficile. Per questo è necessario capire che esiste una precisa relazione tra climi emotivi e stili comunicativi.  

Alcuni stili comunicativi, come il darsi delle arie, o lo svilimento altrui, sono deleteri al raggiungimento di un risultato. Essi risultano diseconomici e disfunzionali, e vanno colti negli altri ed evitati per se stessi. 

Il tema dell’economia della comunicazione richiede quindi: 

  1. capacità di riconoscere le risorse attentive (limitate) disponibili per la conversazione (consapevolezza delle risorse); 
  2. capacità di capire i confini di tempo disponibili (consapevolezza dei tempi); 
  3. capacità di muoversi entro tali confini decidendo i contenuti più appropriati e riconoscendo quelli dispersivi (consapevolezza dei contenuti strategici); 
  4. capacità di gestire le fasi e tempi degli incontri (consapevolezza delle sequenze di interazione) 
  5. capacità di agire sugli stili comunicativi adeguati alle diverse fasi, e sugli atteggiamenti sottostanti gli stili di relazione (consapevolezza contestuale degli stili comunicativi). 

Per concludere, la qualità dell’ascolto dipende: 

  • dalla capacità di centrare i contenuti della conversazione; 
  • dalla capacità di gestire le proprie risorse attentive (ricarica e gestione delle energie personali) e cogliere gli stati altrui; 
  • dalla consapevolezza dei limiti di tempo per la conversazione; 
  • dalla capacità di segmentare i tempi conversazionali, distinguendo le fasi e i relativi obiettivi specifici, in particolare separando il tempo dell’ascolto (empatia) e il tempo propositivo dell’affermare; 
  • dalla capacità di modulare i propri stili di comunicazione, rompendo la rigidità comunicativa, sapendo adattare gli stili alle diverse fasi, ad esempio: amicale nelle fasi di warming up e small talk (chiacchiere introduttive), psicanalitico nelle fasi empatiche, assertivo nelle fasi propositive, ecc.
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Combinare coaching e vendita di soluzioni (Solution Selling)

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Solution Selling. Un modo di vendere

Se il Solutions Selling riguarda il “come” vendere, rimane un grande interrogativo, il “come” esercitare la leadership. La risposta si trova in un metodo molto importante, il “Leading by Coaching”, che significa guidare la squadra essendone il coach, né più né meno come un Coach sportivo guiderebbe le proprie persone, allenandole, aiutandole a scendere in campo preparate, motivate e con gli strumenti giusti per vincere.Si tratta, in altre parole, di applicare la leadership attraverso la gestione delle persone (People Management), sia come team, che con interventi uno-ad-uno.

Per quanto riguarda la componente primaria del People Management (la gestione delle persone), la Leadership di Vendita si basa prevalentemente:

  • sulle tecniche di coaching umanistico (crescita personale e professionale del venditore, formazione dei venditori);
  • sull’Analisi della Conversazione come strumento per guidare il dialogo e creare attivamente un clima di comunicazione di qualità, interno al gruppo, e tra venditori e clienti;
  • sulle dinamiche di Leadership Emozionale, per intervenire con successo sulle situazioni sia positive che negative, insite nella leadership stessa e nei suoi momenti di vita professionale, gestire le gratificazioni, dare voce ai successi, ma anche intervenire nei momenti difficili che la vita professionale di direzione vendite comporta.

I valori e le competenze da instillare tramite il coaching alla propria squadra sono proprio quelli del Solutions Selling.Il cliente moderno è più esperto e competente che mai. Adottando un approccio collaborativo con l’acquirente e sviluppando soluzioni, anziché fare affidamento su tattiche di vendita manipolatorie, i venditori professionisti possono creare valore reale per i clienti e successivamente concludere più affari. Il metodo di “vendita della soluzione” (Solution Selling) sposta l’enfasi dalle caratteristiche del prodotto al valore che riusciamo a creare per il cliente. Questo significa aiutare il cliente a raggiungere i suoi obiettivi, non i nostri, e risolvere i suoi problemi, non i nostri. 

Ecco alcuni elementi fondamentali che un buon coaching deve trasferire.

Capire gli obiettivi del cliente

Riconoscere il fatto di essere portatori di valore

Portare la relazione su un livello di parità

Trasformare le conversazioni in ascolto attivo del cliente

Scalare le gerarchie aziendali e arrivare a parlare con chi decide veramente

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Ascoltare lo stress vocale di chi ci sta parlando per capire il grado di bugia o verità. Supporti informatici

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Concedersi ascolto, concedere ascolto. Oltre la corazza caratteriale e muscolare

In genere, i software di rilevamento della menzogna utilizzano soluzioni di analisi vocale: analisi della voce a più livelli in grado di identificare vari tipi di livelli di stress, reazioni emotive e processi cognitivi riflessi nella voce del soggetto.

I ricercatori hanno scoperto che le frequenze della voce umana sono sensibili all’onestà. Ad esempio, quando qualcuno è onesto, il suono medio in quell’intervallo sarà generalmente inferiore a 10 Hz e sarà superiore a 10 Hz solo quando la disonestà è prevalente. Parliamo di un “grado di disonestà” o “grado di bugia” in quanto chi ci parla può immettere alcune bugie in un flusso comunicativo altrimenti onesto, ma questo non sarà per lui o lei indifferente.

Tutti i muscoli del nostro corpo, incluse le nostre corde vocali, vibrano nell’intervallo da 8 a 12 Hz.

Questo è solitamente considerato un circuito di feedback ed è simile a un termostato / riscaldatore che mantiene una temperatura media oscillando tra temperature più alte e più basse. Allo stesso modo, i nostri muscoli si stringono e si allentano per mantenere una tensione costante.

Quando siamo stressati – diciamo una bugia, per esempio, e non vogliamo essere scoperti – il nostro corpo si prepara alla lotta o alla fuga (meccanismo fight or flight, attacco o fuga). aumentando la prontezza dei muscoli nel caso dovessero entrare in azione.

La vibrazione aumenterà dalla gamma degli 8 o 9 Hz (muscoli rilassati) alla gamma da 11 a 12 Hz (condizione di stress).

I livelli di stress cambiano da un momento all’altro.

Prestando attenzione allo stress vocale, teniamo a mente che lo stress può essere generato da un semplice ricordo, e che i livelli di partenza non sono uguali per tutti. Alcune persone hanno livelli di stress medio, altri alto, mentre altre persone hanno bassi livelli. Ciò che tutti hanno in comune è il fatto che i loro livelli di stress cambiano continuamente all’interno del loro intervallo abituale.

I software di rilevamento della menzogna per PC cercano cambiamenti nella voce e possono rivelarsi uno strumento di verifica della verità affidabile, in quanto dire bugie provoca stress.

Ancora meglio, se utilizzati in combinazione con software che esaminano le microespressioni facciali, e segnalano in tempo reale la presenza di emozioni e la loro intensità.

Usando registrazioni, in particolare, si può applicare l’analisi per capire quale esatta parola o quale riferimento ha fatto scattare quella particolare emozione.

Io utilizzo abitualmente questi software soprattutto per insegnare alle persone che questi meccanismi esistono ma che le persone possono diventare ancora più abili dei software, e far entrare queste abilità di percezione aumentata nel proprio bagaglio personale di risorse.

Vediamo due diverse immagini tratte dall’audizione pubblica di Marck Zuckerberg, fondatore di Facebook, al Senato USA.

In queste immagini possiamo notare il Frame in cui compare la “tristezza” (sad) per alcune frazioni di secondo, e quello in cui compaiono emozioni miste, in particolare la dominanza della rabbia (angry) mista a sorpresa (surprised).

Questi dati fanno parte dell’ascolto attivo a pieno titolo, in quanto ci offrono informazioni che le parole non stanno portando. Infatti durante questo episodio di audizione pubblica il soggetto rimaneva verbalmente impassibile e composto, ma come notiamo, gli sfondi emotivi erano prepotentemente al lavoro.

Esiste un livello di ascolto molto particolare, l’ascolto del “flusso psicofisiologico”. È un ascolto centrato su noi stessi e sui nostri processi interni. Parte prima da un livello molto basilare, l’ascolto del corpo, del flusso psicofisiologico che abbiamo dentro, di come respiriamo, di quanto siamo o meno rilassati, o agitati… e per cosa…. per poi focalizzare ancora meglio, passare a livelli più alti e di coscienza.

Corpo e mente non sono separati ma si influenzano continuamente, e possiamo partire dall’uno o dall’altro ma prima o poi dovremo fare un lavoro su entrambi.

Un altro pioniere, Reich, comprese che quando al corpo non viene concesso di esprimersi, la stessa identità e psicologia della persona ne viene amputata, ci si ricopre di una “corazza” che diventa sia corazza muscolare (nel senso di rigidità muscolari non volute), che corazza caratteriale, nel senso di chiusura verso il mondo.

Reich intuì che l’uomo è prigioniero di una “corazza” muscolare e caratteriale formata da tutti quegli atteggiamenti sviluppati dall’individuo per bloccare il corso delle emozioni e delle sensazioni organiche. L’energia si blocca in alcune parti del corpo che diventano sede di tensioni e conflitti emotivi. Con il tempo la corazza si rivela un impedimento al raggiungimento della propria identità e di una vera creatività, perché lo stato cronico di contrazione muscolare aumenta l’indurimento del carattere, riducendo la comunicabilità, l’amore e la percezione del piacere di vivere. Questa corazza si accentua di anno in anno per le tensioni che si accumulano, e non è certo facile riuscire a liberarsene, anzi, qualcuno non sia accorge nemmeno di averla. Essa limita l’emotività e la libera espressione dei sentimenti e impedisce il libero scorrere dell’energia vitale.

Ascoltare, in questo caso, significa saper riconoscere la nostra corazza caratteriale e muscolare, riconoscere quella altrui, e fare delicati passaggi per permettere alle anime più vere di esprimersi, alle identità più vere di manifestarsi oltre le difese della corazza.

Entrare in contatto tra esseri umani oltre le resistenze delle corazze, ascoltare in profondità, parlare dal profondo del sè, significa passare da comunicazioni irrigidite a comunicazioni più autentiche.

Significa passare dalle parole bloccate verso le parole libere e più vere connesse ai sentimenti più veri. Questo è un passaggio fondamentale non solo per l’individuo ma per tutto il genere umano.

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Ascolto e stati di coscienza

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Se desideriamo ascoltare bene, prima bisogna imparare a rilassarsi, centrarsi, calmarsi.

Quando pratichiamo ascolto, a qualsiasi livello, la nostra mente sta lavorando. I nostri neuroni e le nostre circuiterie mentali lavorano ad un certo livello di Hertz, così come un’apparecchiatura elettronica, e dobbiamo diventare tanto bravi dal saper cogliere a che livello sta viaggiando la nostra mente, e la mente altrui.

In termini generali, un ascolto attivo ha più probabilità quando riusciamo a praticarlo essendo rilassati, con frequenze cerebrali medio-basse.

E, per fugare ogni dubbio, affermiamo che l’ascolto attivo è uno stato di coscienza, non solo un insieme di tecniche, ma un preciso stato di coscienza dove la vigilanza è alta ma la rilassatezza di fondo permette di cogliere segnali che uno stato di tensione farebbero svanire dal campo della percezione.

La rilassatezza serve anche per ascoltare situazioni e temi delicati, emotivamente duri o difficili, e rimanere sereni internamente e ben “centrati”.

Roland Fischer ha realizzato ricerche fondamentali sugli stati di coscienza “normali” e alterati. Questi studi pionieristici pubblicati su Science, la più prestigiosa rivista scientifica mondiale, offrono una possibilità per leggere finalmente in modo grafico dove si collochino gli stati di coscienza.

Le neuroscienze hanno da allora fatto passi in avanti enormi, ma questa mappa specifica è ancora di enorme utilità per avvicinarsi all’argomento per fini pratici e formativi.

Questi studi sono fondamentali per capire l’ascolto in profondità, l’ascolto superficiale, il non-ascolto, e in quale zona della mappa sia possibile ascoltare nel modo più proficuo.

La Scala di Fisher, rappresenta il “numero di giri” del nostro motore mentale, ed evidenzia la posizione di una qualsiasi persona, nel continuum mentale tra agitazione e rilassamento, sino agli estremi: dalla meditazione profonda (sulla destra) sino all’isteria (sulla sinistra), passando per stati più ordinari come la percezione quotidiana, l’ansia, la creatività e altri.

È uno strumento molto importante.

Ad ogni posizione lungo la scala corrisponde una precisa frequenza cerebrale, scientificamente misurabile.

In ciascuna di queste zone, la modalità di ascolto cambia,

  • Ascoltare “tutto a destra” significa un ascolto prettamente interiore, un ascolto interno rivolto a se stessi.
  • Ascoltare nella zona centro-destra significa un ascolto disponibile all’altro, un ascolto aperto, un ascolto permeabile, un ascolto rilassato che non invade.
  • Ascoltare sul centro-sinistra della mappa significa un ascolto aggressivo, un ascolto che interrompe e dominato più dai propri pensieri che da altro.
  • Sull’estrema sinistra esiste il non-ascolto, l’aggressività, la non-presenza mentale, il totale sequestro emotivo in emozioni di rabbia in cui niente e nessuno può dire qualcosa senza che ci arrabbiamo o ci sentiamo in giudizio e in dovere di ribattere, o introiettiamo somatizzando e autodistruggendoci.

Fisher in questo lavoro pionieristico ci mette in guardia: siamo sempre più bombardati da informazioni, ma in taluni contesti, ulteriori incrementi si rischia la saturazione.

Negli esseri umani, un elevato input nel contenuto dei dati può non trovare corrispondenza nella velocità di elaborazione di questi dati.

In altre parole, quando le informazioni in ingresso ci bombardano, sono tante, talmente tante che la nostra capacità di elaborarle tutte progressivamente cala, rischiamo di scivolare verso gli stati schizofrenici.

Questo fenomeno era stato evidenziato negli anni ‘70, ed è da allora in crescente aumento con l’incremento dei canali interattivi e dei social media disponibili.

Dalla scala si evince che per la salute quotidiana, ogni brano significativo di vita trascorso in stato di “agitazione” o nervoso, dovrebbe essere accompagnato da uno stato di recupero, tranquillità e meditazione.

Se desideriamo ascoltare bene, prima bisogna imparare a rilassarsi, centrarsi, calmarsi.

Questo vale sempre, ma in alcuni casi questo diventa fondamentale, come momento di preparazione mentale (es, preparazione ad una gara o ad un esame,a un incontro professionale importante, un colloquio di coaching o di counseling o di terapia).

La scala di Fisher e i suoi tanti insegnamenti possibili stanno diventando un fattore di salute personale. Tutti dovremmo conoscerla, quantomeno per fare una mappatura quotidiana di come stiamo vivendo e riaggiustare il tiro sulle situazioni di vita che sviluppiamo, e sapere che per ascoltare bene bisogna saper trovare l’assetto mentale giusto per l’ascolto.

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La Source Credibility e la credibilità personale

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Assioma di credibilità

L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente un’alta credibilità della fonte ha più effetto nel persuadere un’audience che una fonte a bassa credibilità (Hovland e Weiss; Hovland, Janis e Kelley).

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio.

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare.

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante.

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo.

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale:

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili;
  2. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso.

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare.

Principio – Assioma di credibilità

  • L’efficacia della comunicazione è correlata alla credibilità reciproca dei soggetti che partecipano all’interazione
  • Le dimensioni principali della credibilità (1) competenza, expertise e (2) trustworthiness, fiducia, devono essere entrambi presenti.

La credibilità della fonte è definita da Johnson, Conklin e Pearce (1979) come una serie di percezioni provenienti da un ascoltatore riguardo la possibilità di essere creduto (believability) e accettato da questo, come interlocutore affidabile e quindi entrarvi in relazione.

Dimensioni della credibilità della fonte sono state investigate da vari autori, inclusi Hovland, Janis e Kelley (1953), Berlo, Lemert e Mertz (1969), McCroskey (1966), Tuppen (1974), Whitehead (1968), Markham (1968), e altri.

I primi contributi teorici identificarono alcuni fattori o dimensioni della credibilità tra i quali l’affidabilità (trustworthiness), la competenza (competence), ed il dinamismo (dynamism) (Johnson e altri, 1979).

Altri fattori presi in considerazione in diversi studi sono l’expertise (ovvero esperienza della fonte, competenza tecnica, dal tratto semantico similare al fattore “competence”), il “carattere”, e l’intento persuasivo (Petty & Cacioppo, 1981).

Comunque, come McCroskey e altri autori (1972) indicano, i ricercatori non dovrebbero aspettarsi esattamente la stessa dimensionalità della credibilità della fonte, dal momento che le dimensioni di valutazione possono variare a seconda di soggetti diversi, popolazioni e culture.

In altre parole, la dinamica di ascolto va adattata in funzione delle culture e delle persone.

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, così come invece essi sono importanti nelle culture latine ed arabe.

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio.

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa.

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte.

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile;
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta.

Principio 12 – Assioma di credibilità della fonte

La percezione di expertise (esperienza, competenza) e trustworthiness (affidabilità, serietà, fiducia, attendibilità) determinano la valutazione della credibilità di ogni soggetto nella relazione.

La comunicazione strategica deve utilizzare fonti alle quali il ricevente riconosca livelli adeguati di expertise e trustworthiness (relativa al tema oggetto della comunicazione). Essere introdotti da persone ad alta credibilità e note è un forte fattore di credibilità

Altre caratteristiche della fonte, come attrazione fisica, similarità, e potere, sono state trovate positivamente correlate all’efficienza (e efficacia) della persuasione (Petty e Cacioppo). La credibilità della fonte non è l’unico fattore che influenza la persuasione, ma può essere considerato un fattore facilitante.

Il concetto di “fattore facilitante” o “fattore facilitativo” è impiegato da Fishbein e Ajzen per categorizzare la classe di variabili che influenzano positivamente la persuasione, come credibilità della fonte e expertise, stile comunicativo, e altre. Fattori facilitanti come attrattività della fonte e expertise sono considerati anche nel modello ELM di Petty e Cacioppo

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva.

Tutti si rivolgono a coach, esperti, Counselor, consulenti, per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità.

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.

Nel coaching sportivo, è molto meglio per un coach allenare le persone a lavorare e cercare il loro pieno potenziale, osservarle come “sistemi, piuttosto che vincere una gara con se stessi o agonistica, e rompersi articolazioni o morire di infarto.

Nel business coaching, è molto meglio dire onestamente ad un cliente che servono più sessioni di lavoro e che saranno impegnative, piuttosto che vendere un percorso di coaching come qualcosa di “facile e zuccheroso”. Se immaginiamo una competenza come il public speaking, diventare un grande oratore può richiedere esercitazioni esperienziali forti, dove ci si mette in gioco, e si esce dalla zona di comfort.

Proporsi così è un elemento fondamentale di un Brand Positioning personale, o di un Personal Branding (marchio professionale comportamentale), dove sarà chiaro che ci si sta rivolgendo ad una persona competente e che non offre bugie.

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Formazione e gestione del team di vendita

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Formare il team alle metodologie del Solution Selling e del Coaching

La leadership di vendita comprende la capacità di guidare e formare la squadra di vendita, sia complessivamente, che nei riguardi dei singoli.

Conquistare un nuovo cliente e poi seguirlo con qualità, oggi, richiede sforzi molto maggiori che in passato, per via della concorrenza oramai ampia e globale su tutti i fronti. Oltre a questo, molte aziende non hanno un solo venditore, ma interi team formati da ruoli anche molto variegati (specializzazioni per prodotto, o per area geografica, e altre) e questi team di venditori si aspettano strumenti validi dall’azienda, per poter essere competitivi sul mercato. Per affrontare tutto questo, serve una leadership del team di vendita molto solida, una Direzione Vendite in grado di gestire prima di tutto le persone.

Per un’azienda multinazionale ma anche per una PMI, serve una vera e propria “squadra”, dove i giocatori e il loro “capitano” siano allenati, preparati, e in grado di assorbire essi stessi larga parte del lavoro di marketing e vendita per la gestione del cliente.

In questo quadro, il leader assume un ruolo di regista, di coordinatore, di allenatore della propria squadra, e quindi di formatore.

Il Solution Selling [IA1] per la leadership di vendita è un modello olistico, nel senso più ampio del temine, in quanto deve comprendere un’attenzione “dall’alto”, una visione panoramica di quanto accade negli scenari economici in cui si muove l’azienda. Deve poi occuparsi di mission, la mission aziendale, e la mission del team e dei team member. Deve lavorare sul Mix di Valore che riesce ad erogare al cliente (Value Mix e Marketing Mix), fino a scendere nei dettagli, in particolare gestire la “Linea di Azione” (Action Line) verso ogni cliente specifico. Deve poi occuparti della gestione della comunicazione Front-Line verso il cliente, fatta di incontri di ascolto, di analisi, e infine di proposte, sino a gestire la soddisfazione del cliente nel post-vendita.[IA2] [DT3] 

Come in ogni squadra, serve un modello di gioco, un modello di riferimento cui ispirarsi.

Il modello più efficace cui la leadership di vendita può aspirare è il “Solution Selling”, ovvero la vendita di soluzioni, ancora prima che di prodotti/servizi.

Solution Selling è una metodologia di vendita. Invece di promuovere semplicemente un prodotto esistente, il venditore deve focalizzarsi sui problemi del cliente e gestirli con offerte appropriate di prodotti e servizi. 

È questa la cultura e la mentalità che vogliamo che un leader di un team vendita sia in grado di trasferire ai suoi uomini e donne.

Spesso la vera soluzione prende corpo concretamente dopo il processo di vendita, come nel caso della vendita e installazione di macchinari, di software, o di grandi progetti di ingegneria e costruzione di impianti. È tipico per le situazioni di Solution Selling che l’acquirente non svolga molti acquisti ripetuti ma necessiti invece della conoscenza e del know-how del partner della soluzione.

Questo rafforza enormemente il legame, e porta a quel “valore aggiungo del Fattore Umano” che nel Solution Selling diventa il cardine di tutto.

E quindi, qual è la definizione della parola soluzione? La risposta tipica è “Una risposta a un problema”. Sono d’accordo con questa risposta, ma ritengo sia importante espandere la definizione. Non solo il problema deve essere riconosciuto dall’acquirente, ma sia l’acquirente che il venditore devono anche concordare la risposta. Quindi una soluzione è una risposta reciprocamente concordata a un problema riconosciuto. Inoltre, una soluzione deve anche fornire alcuni miglioramenti misurabili. Per miglioramento misurabile, intendo dire che c’è un prima e un dopo. Ora abbiamo una definizione più completa di una soluzione; È una risposta reciprocamente condivisa a un problema riconosciuto e la risposta fornisce un miglioramento misurabile.

– Keith M. Eades[1][IA4] [DT5] 

Possiamo dire che nel Solution Selling viene a formarsi una squadra, un team, tra venditore e cliente, un team che opera “contro” un problema o più problemi presenti nell’azienda cliente, e che il collante di questo team è una comunicazione efficace e una relazione solida. Le aziende riconoscono che il Solutions Selling è veramente una chiave di svolta nel rapporto tra chi vende e chi acquista.

Nel nostro impegno con partner e clienti riconosciamo che le soluzioni diventano rilevanti quando risolvono problemi aziendali reali e aiutano le persone e le aziende a diventare più efficienti e agili.

Kevin Johnson,

Microsoft Group Vice President,

Worldwide Sales, Marketing, and Services[2]

Tra le fasi primarie del Solutions Selling troviamo:

  1. Prospecting: individuare le aziende o clienti verso i quali siamo in grado di erogare soluzioni.
  2. Fasi di contatto preliminare e incontro con il potenziale cliente.
  3. Analisi dei bisogni del cliente: esaminare i bisogni del cliente.
  4. Dare corpo ad una possibile soluzione.
  5. Definire il valore che la soluzione porta al cliente.
  6. Definire il valore economico della soluzione (il prezzo).
  7. Capire chi sia il centro di potere decisionale d’acquisto o la DMU (Decision Making Unit – Team di acquisto).
  8. Negoziare per poter accedere ai decisori effettivi.
  9. Posizionare la soluzione come risoluzione ad un problema, inquadrare il suo ROI materiale e/o immateriale (ritorno sull’investimento) e il contributo totale che quella soluzione porta.
  10. Negoziare una soluzione win-win in cui entrambe le parti escano vincitrici e soddisfatte.
  11. Seguire il cliente nell’adozione post-vendita, dare seguito (Following up) per assicurarsi il successo del cliente.

Per far verificare tutto questo, consideriamo che il lavoro da fare da parte del venditore richiede un approccio estremamente consulenziale, e serve un coordinamento e una formazione che mettano ogni singolo venditore in grado di seguire questo processo, e intervenire dove sia necessario un supporto.

Non è raro infatti che il venditore si trovi a negoziare inizialmente con livelli più bassi del dovuto nell’organizzazione, tecnici, addetti, e “portatori del problema”, mentre la decisione di acquistare o meno la soluzione stia molto più in alto, a livello di Vice-President, di Amministratore Delegato (CEO), di Direttore di Produzione, o di Direzione Acquisti.

In questo delicato passaggio, il supporto e la Leadership della Direzione Vendite prende pienamente corpo ed esprime tutto il suo valore aggiunto, affiancando e supportando il venditore e portando il plus che un ruolo di Direzione Vendite deve avere in azienda.

Essere Leader del Team di Vendita significa essere accanto ai propri uomini nel momento del bisogno, nelle fasi più ardue della scalata, nei passaggi più stretti e delicati, ma anche formare le persone a diventare sempre più abili, forti e autonome nel gestire clienti complessi.


[1] Testi suggeriti in inglese: Bosworth, Michael. Solution Selling: Creating Buyers in Difficult Selling Markets, McGraw-Hill, 1994. ISBN 978-0-7863-0315-1

Bosworth, Michael; Holland, John. CustomerCentric Selling, McGraw-Hill, 2003. ISBN 978-0-07-142545-2.

Eades, Keith M. (2003). The new solution selling: The revolutionary sales process that is changing the way people sell. New York: McGraw-Hill. p. 299. ISBN 0-07-143539-5., p. 5

[2] Cit in: Eades, Keith M. (2003). The new solution selling: The revolutionary sales process that is changing the way people sell. New York: McGraw-Hill. p. 299. ISBN 0-07-143539-5, p. 8


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Stati conversazionali e leadership conversazionale

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Come si può dedurre in maniera limpida dal titolo, l’articolo di oggi sarà un’introduzione agli stati conversazionali, la cui attenta gestione mostra il grado di leadership conversazionale all’interno di uno scambio comunicativo tra due o più interlocutori.

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica. Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.  

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile. 

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone. 

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione. 

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio: 

  1. la confessione, 
  2. la seduzione, 
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante), 
  4. la “conversazione da spogliatoio”, 
  5. l’autocelebrazione, 
  6. la ricerca di aiuto, 
  7. l’auto vittimizzazione, 
  8. l’offerta di aiuto, 
  9. l’accusa, 
  10. l’analisi scientifica di un problema, 
  11. “proviamo a capire”, 
  12. lo “sparlare degli assenti”, 
  13. lo sfogo, 
  14. il “parlar di guai”, 
  15. il “sogno ad occhi aperti”, 
  16. il litigio, 
  17. l’interrogatorio, 
  18. il giocare assieme, 
  19. il “fare le fusa”, 
  20. il “parlare tra simili”. 

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, scivolare in autocelebrazione, e poi ancora in accusa. 

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali, ma con meno margini di errore. 

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.  

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta. 

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo. 

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi. 

Per concludere, possiamo dire che questi formati conversazionali possono essere considerati come il sale e il sapore della conversazione stessa. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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La costruzione della credibilità

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Elementi che creano fiducia ed elementi che erodono la fiducia

Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei.

 (Niccolò Machiavelli)

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento d’interazione, ha un effetto di imprinting – fissa un’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando. Cambiare quell’immagine iniziale, poi, è difficile.

L’ascolto è una di quelle attività che vengono bene solo se come ascoltatori veniamo considerati degni di fiducia, onesti, competenti.

Basta solo che vi sia anche solo una vaga percezione che le nostre intenzioni siano nascoste o che stiamo mentendo, per ottenere un blocco immediato della conversazione o del rapporto.

Il mondo delle relazioni è un mondo di percezioni soggettive, ancora prima che di dati oggettivi. Esaminare cosa accade a livello di percezioni, nella comunicazione e nell’ascolto, è quindi ancora più fondamentale.

Può accadere che siamo di fatto persone degne di fiducia, ma qualcosa in ciò che diciamo o nel come lo diciamo comprometta questa immagine positiva. Vi sono invece emeriti truffatori in grado di dare una sensazione iniziale di grande professionalità e fiducia.

Dobbiamo quindi esaminare numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui:

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata);
  • le posture e il body language;
  • le gestualità e l’espressività;
  • il modo di stringere la mano;
  • la mimica facciale;
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali
  • tono e timbro della voce, la parlata.

Chi di noi affiderebbe i suoi segreti più intimi a qualcuno di cui – per via di alcuni elementi del mix sopra notato – di pancia, non si fida? A qualcuno che si pensa, magari, dopo pochi minuti, metterà tutto quanto su internet o lo darà ad altri?

O a qualcuno di cui scopriamo che stia registrando a nostra insaputa? O a qualcuno di cui non sappiamo le vere intenzioni?

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, e ancora maggiormente nella fase di ascolto, in quanto se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente.

In alcune professioni poi, dove l’ascolto è l’ingrediente essenziale, come nel coaching, ma anche nella leadership, larga parte del lavoro si svolge con e tramite colloqui. E i colloqui bisogna saperli gestire, sopratutto come ascoltatori eccellenti e attivi.

Questo vale anche e soprattutto nei colloqui di gruppo, dove la complessità delle maschere in gioco è alta. Ognuno gioca un suo ruolo, e la verità si nasconde la, da qualche parte, ma raramente viene fuori se non alla macchinetta del bar o in qualche colloquio confidenziale.

Chi ha partecipato ad una riunione di Direzione o a un Consiglio di Amministrazione non potrà non averlo notato.

Tutte quelle persone avevano i volti incorniciati dal senso della loro importanza. Giocavano al gioco dell’apparire e dell’ostentare e del sopraffare con la massima serietà. Chissà in quale momento della loro vita si erano dimenticati dei loro giochi di bambini.

 (Fabrizio Caramagna)

Il coaching, essendo in larga misura basato su tecniche di colloquio a tu per tu, one-to-one, ha grande bisogno di costruire modalità di colloquio in cui si generi apertura sincera, e fuoriescano le informazioni che servono per gestire il caso e trattarlo.

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di:

  • micro-osservazione;
  • analisi di incongruenze e dissonanza;
  • rilevazione di segnali deboli.

Come ho evidenziato in Psicologia di marketing e comunicazione:

“Le informazioni che possono essere colte nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti, i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals)”.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione.
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia.

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno, è costellato, in altre parole, dal ricevimento di tanti segnali e di tante informazioni.

Se questi segnali e informazioni sono positive e congruenti tra loro, nasce fiducia, se sono negative oppure emergono incongruenze e dissonanze, la fiducia cala.

Lo stesso vale quando esaminiamo chi parla con noi.

I trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia.

Se immaginiamo ciò che osserva un cliente all’interno di un’azienda, elementi magari casuali, quali un ordinativo di un’azienda importante, dal marchio prestigioso, collocato su una scrivania possono costituire trust-signals, mentre una lettera di reclamo da parte di un consumatore, o la ruggine sul cancello d’ingresso, o la scortesia del persona, costituiscono distrust-signals. Lo stesso vale per i commenti postati dai clienti su siti appositi di valutazione d’aziende e di prodotti.

L’azienda e il professionista orientati alla crescita devono analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals.

Devono esaminare accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente (gli elementi denominati Above The Line– cioè oltre la linea di visibilità) e queli Below the Line (al di sotto della soglia di visibilità) e fare un piano accurato per gli elementi Above The Line.

Devono mettersi con gli occhi del pubblico e del cliente ed esaminare quanto da loro trasuda, (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, immagine personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali)

La “persona” che vuole lavorare sul proprio “Personal Branding” o immagine personale, dovrà curare altrettanto il tipo di abbigliamento (casual o rigoroso, a propria scelta, purché sia ragionata e coerente), i capelli, le unghie, come e dove è collocato il suo ufficio, cosa ha sui tavoli.

L’aspetto esteriore è un meraviglioso pervertitore della ragione.
(Marco Aurelio)

Dovrà osservare il proprio aspetto esteriore ma anche il sito web con gli occhi di un possibile cliente, persino i propri profili sui social media.

E non è sufficiente. Dovrebbe avere attenzione a farsi dare feedback da persone di propria fiducia o da supervisori (supervisors professionali) che devono occuparsi su sua richiesta di “guardarlo con occhio esterno” e offrirgli feedback, sia positivo che negativo, ove vi siano elementi che non vanno o hanno bisogno di ritocchi nella comunicazione.

Il sostegno di supervisione sulle tecniche di ascolto, vero e proprio, viene anche dall’indicare ad una persona che stiamo affiancando, che – ad esempio – tende ad interrompere troppo il cliente, o non fa dei “recap” (ricapitolazioni) durante il discorso per mettere un punto e poi proseguire.

O ancora, che le sue microespressioni facciali lasciano tradire un’incertezza o un giudizio quando questi non fossero voluti.

Un feedback onesto è sempre prezioso e non va considerato come un attacco.

La dinamica dei segnali di fiducia e di sfiducia coinvolge pienamente il professionista in ogni campo, il venditore, il consulente, i suoi comportamenti e atteggiamenti, i suoi messaggi e comunicazioni, la sua modalità di ascolto.

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