Coaching Vendita Business to Business “Solution Selling”

Coaching di Vendita Business to Business Solution Selling è un formato di Coaching sviluppato dal dott. Daniele Trevisani per potenziare le capacità di ascolto del cliente, di empatia, di identificare soluzioni efficaci e utili a risolvere i problemi del cliente, e avviare un rapporto di vendita veramente solido e consulenziale.

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Articolo sul Coaching di Vendita Business to Business “Solution Selling”: Il vero significato della formazione e del coaching di vendita per  far emergere il massimo potenziale della persona

“Il principio è che le domande dovrebbero seguire l’interesse e il flusso dei pensieri del cliente, non del coach.”
JOHN WHITMORE

Fare formazione vendite e insegnare tecniche di vendita o fare coaching di vendita significa agire sul fattore umano per alimentare i talenti e far emergere i tratti straordinari delle persone, e non mortificare tutto in una “pianura di competenze” immersa nella nebbia del “tutti uguali”.

Coaching Vendita Business to Business basato sul modello di vendita consulenziale. Il modello fondamentale della formazione, del coaching e dell’educazione in ogni sua forma è ancora quello dello “skills gap”: basato sulla domanda latente “che lacune hai rispetto alla media?” Pochi formatori e coach si pongono veramente il problema di quali tratti ancora inespressi la persona abbia, di quali performance potrebbe ancora raggiungere se solo aumentasse il suo grado di energia, di motivazione e di competenze.

Far rientrare una persona nella media non è il mio obiettivo. Portare le persone ad essere il massimo di ciò che possono essere, lo è. Alla grande!

Per farlo, bisogna passare da una formazione “ascoltata”, una formazione “ad una via” dove abbiamo un docente che parla e allievi che ascoltano, ad una formazione attiva, esperienziale, dove gli allievi “fanno” e sperimentano in prima persona le variabili critiche e i contenuti che stiamo trattando.

Coaching vendita Business to Business basato su tecniche di formazione attiva ed esperienziale. Esistono centinaia di tecniche di formazione attiva e il vero ruolo di un insegnante o di un coach consiste nello saper scegliere quali tra queste tecniche attive alimentano di più un vero apprendimento interiore e non solo le conoscenze esteriori. Quando si apprende un atteggiamento, questo può rimanere per tutta la vita. Quando si apprende una conoscenza intesa come “sapere” o dato, questo dato può scomparire dalla memoria in poche ore.

Nella formazione vendite e nel coaching vendita Business to Business questo significa lavorare prevalentemente sulla capacità di ascolto, di empatia, e di seguito sulla capacità di costruire soluzioni (Solution Selling) realmente centrate sull’evoluzione positiva del cliente.

Nella formazione vendite e nel coaching vendita Business to Business significa uscire dal modello di lezione standard e passare al coaching esperienziale. Su una lezione standard, su cento concetti trasmessi quanti ne rimangono il giorno dopo? pochi, persino zero a volte. Se invece riusciamo a trasmettere un atteggiamento e una capacità concreta di ascolto attivo, o un valore come l’empatia sincera, questo può insediarsi nella mente della persona e nel repertorio di competenze per sempre. Un esempio concreto è proprio l’ascolto attivo, per il quale nemmeno decine di ore sono sufficienti a far si che la persona diventi veramente empatico e buon ascoltatore, mentre in un paio d’ore di esercizi di ascolto attivo pratici, esperienziali, questo diventa più possibile e soprattutto permanente.

Lo stesso concetto di fondo vale per uno sports coaching in cui la domanda latente sia “quanto sei diverso dalla media?” affinché con un programma io ti ci possa riportare. Grave errore, che fa dimenticare quali punti di forza e di diversità la persona abbia e che proprio con il coaching possono essere valorizzati.

Se ragioniamo solo di lacune, se le colmiamo, sembra andare tutto bene, ma così rientri nel gregge. Niente a che fare con il modello del “Talent leveraging” (letteralmente, fare leva sul talento), che si chiederebbe “cosa di eccezionale sa, sa fare, o ha nel cassetto, cosa può avere questa persona di splendido da offrire, e come impiegare queste sue doti e talenti, valorizzarle, trasformarle in espressività concreta?”

Il nodo centrale del Coaching Vendita Business to Business è quindi se puntare ad un appiattimento di competenze, o ad un equilibrio sano sul quale possano svettare alcuni picchi di abilità che rendono la persona unica o straordinariamente utile, efficace, felice, e in grado soprattutto di gestire bene i clienti Business, applicando tecniche di vendita centrate sull’ascolto, l’empatia e la ricerca di soluzioni.

Modificare e potenziare gli assetti ed equilibri della persona è arte difficile. Aumentare e rivedere le competenze, le energie e motivazioni delle persone è uno dei compiti più delicati. Questo risultato richiede metodi decisamente diversi dallo svolgere lezioni accademiche o fare prediche e ramanzine.

Le tecniche principali da utilizzare ricadono nel repertorio della formazione attiva (active training), del deep Coaching o coaching trasformazionale, opposto ad un coaching solamente incrementale, che punta solo ad aggiungere o sovra-stratificare.

Si arriva fino all’Experiential learning, l’apprendimento intenzionale derivante da esperienze pratiche, sensoriali, che puntano tutto sul “far sentire”, sul “far vivere” un brano di esperienza come un colloquio di vendita nella formazione e nel coaching, e non solo a raccontarlo.

Fare active training sul Coaching Vendita Business to Business significa letteralmente realizzare formazione attiva, apprendimento basato sull’azione. Questo significa rivoluzionare la modalità di trasmissione di concetti e insegnamenti dal piano del “racconto” (dire, parlare, insegnare a voce) al piano del far accadere qualcosa (training events, instructional events, training experiences, o altri input esperienziali).

Mentre nella formazione classica è essenziale il testo scritto (lettura) o produzione orale del docente (ascolto di una lezione, in qualsiasi formato sia), nella formazione attiva il fulcro diventa il tipo e modalità di esperienza pratica che riesco a generare con una “regia di formazione” e una “regia di coaching”, e la fase di successiva assimilazione interiore, e non solo esterna, che riusciremo a produrre nel partecipante.

Fare Coaching di Vendita Business to Business con il metodo esperienziale, una rivoluzione didattica

La rivoluzione comportamentale del formare attivamente le persone nel Coaching Vendita Business to Business consiste nel “parlare” il meno possibile e nel creare il più possibile azione, svolta da chi deve apprendere o essere formato.

Toccare con mano ha decisamente più effetto che “sentir dire”. Far “inciampare” un partecipante su un errore per poi rifletterci sopra, ha più effetto che raccontare l’ipotetica possibilità che esso si verifichi.

Riuscire a valorizzare un talento non è fortuna, non è caso, è scienza applicata alle potenzialità umane. Una nuova scienza dell’espressività della persona, dell’emersione dei suoi lati più affascinanti, unici, ricchi di valore per sè, per gli altri, per le aziende, persino per la razza umana nel suo complesso.

Il Coaching, Coaching Vendita Business to Business se fa emergere davvero le potenzialità, è sacro e prezioso. E si può partire dal piccolo, dal molto piccolo, da ogni singola sessione di coaching, di personal training, o di formazione attiva.

Se qualcuno (o il bisogno economico) avesse costretto Leonardo da Vinci a fare lo Chef, magari avremmo avuto un ottimo Chef, ma tante invenzioni irripetibili perse.

E se Einstein non avesse avuto qualcuno con cui discutere delle sue teorie, senza che lo considerassero “quello strano impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna che si crede un Fisico”[1], probabilmente saremmo ancora in un medioevo della fisica e astrofisica.

Facilitare l’emergere del potenziale è la vera ragione dell’esistenza dell’insegnamento e della formazione nel Coaching Vendita Business to Business. L’insegnamento diventa un atto di dono profondo, ispirato e immenso, una formazione attiva e impegnata. Quando riusciamo a creare queste condizioni, qualsiasi vero intervento educativo a livello umano diventa un modo molto saggio di investire energia e tempo.

Insegno con questi pensieri nella mia testa e preparo qualsiasi lezione o sessione di coaching con questo approccio, anche quando fare allenamento attivo è più difficile che semplicemente “parlare”.

Ogni volta che siamo in grado di aumentare il potenziale umano di qualcuno, lui/lei diventa un’arma in più che la Razza Umana ha contro l’ignoranza, la povertà, la miseria e un faro in più per un’umanità illuminata, uno strumento potente per la libertà materiale e spirituale di tutti noi. Fare Coaching Vendita Business to Business significa anche questo.

[1] È noto che Albert Einstein, prima di ricevere onori accademici e incarichi universitari, abbia elaborato le sue principali teorie sulla fisica quando era un semplice impiegato presso l’Ufficio Brevetti di Berna, in Svizzera.

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© Articolo Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione e Consulenza

Corso Vendita Solution Selling. Il Fattore Umano nella vendita e il valore distintivo delle relazioni umane

corso vendita copertina la psicologia dell'acquisto psicologia del marketing e della comunicazioneCorso Vendita, materiale dal libro “ La psicologia dell’acquisto: Psicologia del Marketing e della Comunicazione centrata sulle Esperienze d’Acquisto

  • Il corso vendita Solution Selling è basato sulla psicologia del marketing e della comunicazione, tema trattato nel libro “la psicologia dell’acquisto”.
  • Il corso vendita Solution Selling è un percorso formativo nel quale apprendere a trovare soluzioni per i problemi che un cliente possiede, ascoltare il cliente, creare un’esperienza di acquisto di qualità e positiva, e nel quale si realizza soprattutto un’esperienza pratica di vendita consulenziale.
  • Il corso vendita Solution Selling si tiene sia online che in aula di formazione, a Milano, ogni mese, con cadenze alternate.
  • Per informazioni sul prossimo corso vendita Solution Selling, centrato sulla psicologia del Marketing e della Comunicazione, clicca su questo link.

Di seguito, un estratto dal testo “Psicologia dell’acquisto. Psicologia del marketing e della comunicazione centrata sulle esperienze d’acquisto”

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Il Fattore Umano come caratteristica essenziale del Valore. Il CVBU del Fattore Umano

 

“Uno sforzo continuo – non la forza o l’intelligenza – è la chiave che sprigiona il nostro potenziale.”

Sir Winston Churchill

 

La crescita delle capacità di vendita e del fare felici i clienti richiede un lavoro continuo su sé stessi, ricordando che la vendita consulenziale è essenzialmente dominata dalla centralità del fattore umano e delle relazioni umane.

Il Fattore Umano è l’elemento critico spesso sottovalutato. Se siamo in un ristorante, ad esempio, il cameriere dovrà capire se è bene lasciare le persone tranquille ad un tavolo a lungo, perché stanno avendo un momento di intimità, o aiutarli per accelerarne il pagamento e l’uscita (distinguere, ad esempio, avventori per piacere da avventori per lavoro che devono ripartire subito). Non sapere cogliere questa percezione sottile è una lacuna che rientra tra gli elementi di Fattore Umano.

Il Fattore Umano nella psicologia dell’acquisto si gioca sulla puntualità, sul rispetto totale della parola data, sulla volontà di fare quel “qualcosa di più” che non è scritto da nessuna parte ma che il cliente apprezza e anzi ricorda più di qualsiasi altra cosa.

Per un certo cliente industriale può essere importante essere assistito e curato nella fase di messa in avvio di un macchinario, nell’istruzione e formazione degli operatori, o ancora la garanzia totale sulla Business Continuity (la continuità operativa di produzione), nella promessa (da mantenere) che il processo produttivo del cliente, per quanto riguarda la nostra parte, non sarà mai fermo per più di due ore, o qualsiasi altra esigenza che emerga da un ascolto attento.

Vediamo un caso diverso. Il Fattore Umano nella psicologia dell’acquisto in uno studio dentistico è dato dal fatto di saper rilassare il cliente che è già agitato di suo, e nel metterlo in una atmosfera emotiva e umana di relax. Per un dentista specializzato nel target bambini, il CVBU del Fattore Umano può essere la capacità di trasformare lo studio dentistico in una specie di filiale della Disney, con TV che trasmettono cartoni, giochi da usare per distrarsi, e persino far continuare lo stesso cartone dalla sala di aspetto, sino ad uno schermo che il bambino vede mentre viene trattato dal dentista. Una carie è una carie e un’otturazione è un’otturazione, ma c’è modo e modo di far vivere questa esperienza al bambino, e di riflesso ai genitori, in modo traumatico, o invece in modo giocoso e gradevole.

Saper vendere questa caratteristica è una Vendita Professionale a tutti gli effetti e progettare l’esperienza del cliente è una parte raffinata del marketing.

Che cosa differenzia del resto una clinica privata di lusso, da una struttura della sanità pubblica, forse sono le siringhe o garze ad essere diverse, o è la sensazione del “come sei trattato” che ti fa pensare di rivolgerti a quella specifica clinica, o il passaparola su “come sono stato trattato bene”, sentito da un nostro collega o familiare?

Il CVBU del fattore umano della clinica può essere ad esempio:

  1. riduzione dei tempi di attesa nelle visite;
  2. riduzione dei tempi di ricovero e dimissione;
  3. essere trattati sempre dalle stesse persone anziché sentirsi sballottati da un medico all’altro;
  4. sentire che i medici e operatori tengono davvero al tuo caso;
  5. sapere che i medici che mi tratteranno sono aggiornati allo stato dell’arte sulle specifiche patologie e cure.

Si parla del Fattore Umano come della parte intangibile della psicologia dell’acquisto, ma a mio parere, questa parte è estremamente concreta.

Spesso, sono sufficienti questi elementi per far spendere ad un malato anche decine di migliaia di euro in più.

Ma lo stesso vale per una concessionaria di auto, o qualsiasi altra realtà ove si venda. Una concessionaria BMW può essere fisicamente del tutto simile ad un’altra, ma magari il clima umano e l’attenzione data al cliente in una delle due sedi è molto diversa, e questo fa spostare le persone anche di parecchi chilometri pur di sentirsi trattati come si ritiene giusto.

Se il venditore della concessionaria A denigra il mio usato, dicendo che “è roba che non vale niente, al massimo può valere 5.000 euro”, e parla con disprezzo dell’auto che io magari ho trattato con tanta cura, mentre il venditore della concessionaria B mi dice che “si vede che l’auto è stata trattata bene, ma purtroppo non riesco a dare più di 5.000 euro di valutazione”, da chi andreste voi?

Leggi della felicità del cliente 2

La cortesia, la disponibilità, la cura che il venditore e l’azienda venditrice mettono nelle relazioni umane è un valore tanto alto quanto almeno quello economico, se non di più.

Per creare clienti felici occorre progettare la Customer Experience del cliente, la sua esperienza totale di acquisto, di pre acquisto e post-acquisto, il tipo di facilità di accesso alle informazioni, la facilità di accesso all’impresa e la disponibilità a farsi carico di problemi che si dovessero determinare. Il CVBU (Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità) del fattore umano che il venditore sa mettere in campo determina la differenza tra felicità e infelicità del cliente.

Bisogna pensare sempre di più come il proprio consumatore, considerare come cerca informazioni, come usa il prodotto/servizio, quali sono le tappe del suo Customer Journey, quali sono i “touchpoints” o punti di contatto tra il cliente e l’impresa/prodotto/servizio, e progettarli accuratamente.

 

Lo stesso meccanismo del Fattore Umano si applica anche a grandissime forniture industriali nel B2B, dove anzi e ancora di più, i gesti contano, come – per un cliente che viene a negoziare da noi un acquisto importante – il fatto di andarlo a prendere all’aeroporto, portarlo in hotel, andarlo a prendere la mattina e farlo sentire come a casa.

Al centro di ogni analisi CVBU si collocano le peculiarità del cliente specifico, e non di un cliente astratto. Nessun ciclo CVBU può svolgersi nel vuoto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente, ed è lì che dobbiamo lavorare.

 

“Ci sono piccole differenze tra le persone ma queste piccole differenze creano una differenza enorme.

Le piccole differenze costituiscono l’atteggiamento mentre la grande differenza deriva dal fatto che questo atteggiamento sia positivo o negativo”

  1. Clement Stone (uomo d’affari e filantropo)

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© Copyright. Materiale di formazione vendite per il corso vendita Solution Selling, basato sui concetti esposti nel  libro “Psicologia dell’acquisto. Psicologia del marketing e della comunicazione centrata sulle esperienze d’acquisto

 

Corso Vendita basato sulla Psicologia del Marketing e della Comunicazione. Capire il vissuto del cliente

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  • Il corso vendita Solution Selling è basato sulla psicologia del marketing e della comunicazione, tema trattato nel libro “la psicologia dell’acquisto”.
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  • Il corso vendita Solution Selling si tiene sia online che in aula di formazione, a Milano, ogni mese, con cadenze alternate.
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Di seguito, un estratto dal testo “Psicologia dell’acquisto. Psicologia del marketing e della comunicazione centrata sulle esperienze d’acquisto”

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Capire il fenomeno dell’acquisto e le sue mille sfaccettature

La psicologia del marketing e della comunicazione deve essere centrata sulle esperienze di acquisto. Fare avere al cliente esperienze di acquisto positive vale molto più di centinaia di spot.

Concetti quale “consumatore” e “cliente” sono molto recenti nella storia dell’umanità. Negli ultimi secoli la tecnologia ha permesso di produrre e scambiare prodotti come mai prima. La democrazia (in alcuni paesi) ha consentito di creare realtà imprenditoriali dove esistevano solo monopoli.

Questi processi – per nulla terminati in diverse aree mondiali – ampliano la gamma di scelta del cliente e rendono l’acquisto un atto complesso.

In questo panorama prendono forma le scelte di acquisto basate su motivazioni di identità (Identity Based Motivations[1]). In altre parole, le specifiche identità culturali del cliente (etniche, religiose, di status socioeconomico, di appartenenza politica, e altre) danno luogo a specifici “consumer goals”, atti di acquisto che vogliono rafforzare la propria identità.

Non tenere conto di questo aspetto significa trattare ogni cliente come privo di identità, una ameba pronta ad acquistare qualsiasi cosa si appelli alla ragione, mentre la ragione pura, con questo panorama, ha poco a che fare.

Ogni acquisto e atto di consumo porta con sé implicazioni socioculturali, esperienziali, simboliche, e ideologiche[2]. Ma non solo. La ricerca ci indica anche che il cliente – essendo portatore di identità multiple – deve fare forzatamente alcune scelte prioritarie di identità. Uno studente potrebbe voler acquistare una felpa e chiedersi se sia bene portare una felpa del college cui appartiene, o della città in cui vive, o di un brand in voga tra i suoi coetanei. Allo stesso modo, un buyer aziendale potrebbe cercare un consulente con cui lavorava già per l’azienda precedente (identità passata) o un consulente già attivo nell’azienda attuale (identità recente). Queste varie identità a volte confliggono, e il consumatore tenta di raggiungere equilibri di identità prima di tutto mentali per mantenere la sua coerenza interna[3].

Una delle strategie messe in atto dalle aziende e dai venditori è il “priming”, ovvero fare emergere, tra le tante identità, una specifica che va sollecitata al fine di spingere verso una determinata scelta di acquisto. Un genitore potrebbe essere sia genitore che sportivo, e nel caso di aquisto di un’auto essere tentato sia da un modello station-wagon adatto per una famiglia con figli, o da una cabrio adatta ad un uso personale e per divertimento. Il priming del venditore sul cliente consisterà nelle parole che usa per sollecitare l’una o l’altra delle identità, alla luce delle sue strategie di vendita, es. “certo che per un giovane padre come lei questo SUV è fantastico quando si tratta di fare gite con la famiglia”, oppure invece dire “certo che per uno sportivo come lei questo modello cabrio le fa fare davvero un figurone quando arriva al club!”

Il priming qui esposto è banalizzato e ridotto ad esemplificazione, tuttavia una strategia di priming deve per forza essere sempre presente in ogni messaggio aziendale, nel quale una certa “identità” del ricevente viene sempre in qualche modo chiamata all’appello. Questo vale anche nella comunicazione pubblicitaria, a quale delle tante identità del consumatore essa punta, e con chce leve simboliche punta a fare priming.

La ricerca dimostra persino l’effetto di “Salvataggio dell’Identità” (Saving Your Self) che avviene quando un acquisto o un prodotto vanno contro l’identità che una persona sente forte in sé. Ad esempio, potrei decidere di non portare mai e per nessun motivo, nemmeno se me li regalassero, dei sandali “da frate” o delle Birkenstock aperte, perché darebbero di me l’immagine di essere un vecchio o un freak, mentre le tennis della mia marca preferita, benchè faccia caldo, danno di mè quell’impressione di persona sportiva e di tendenza che voglio dare[4].

La forza delle percezioni di sé, delle identità che sentiamo vive in noi e di come queste influenzano noi come persone, i nostri acquisti e i prodotti di cui ci circondiamo, è molto potente e non dobbiamo mai sottovalutarla.

Alcuni casi pratici, aneddoti personali ricchi di possibile apprendimento

Un cliente felice è un cliente che è disposto a parlare bene dell’azienda e del prodotto, a diventarne un paladino, a fare del passaparola positivo. Un cliente infelice vaga nel mercato seminando tossine e inquinando il buon nome del prodotto e del marchio.

Ma allora da cosa dipende avere un cliente felice o infelice? Dipende da tanti fattori, ma prima di tutto, dall’avere capito la sua psicologia, i suoi meccanismi di acquisto, il perché ha acquistato, cosa cercava, e che esperienza sta avendo con l’uso quotidiano del prodotto/servizio.

Il caso del maledetto piantone centrale della mia auto

Ho comprato un’auto che mi piace molto, un’auto ibrida che prometteva e ha mantenuto di fare più di 20 km con un litro, arrivando persino a 25, oltre ogni mia più rosea aspettativa. Ma allora dove è il problema? Il problema arriva dal fatto che come essere umano, stranamente, possiedo una gamba destra, una tibia destra e un ginocchio destro. I progettisti di Hyundai sembrano essersene dimenticati. Hanno fatto un piantone centrale, che divide il posto anteriore destro da quello sinistro, smisuratamente grande, al punto che la tibia e il ginocchio desro sono in costante sfregamento e pressione contro le plastiche. Questo provoca con il passare dei chilometri un fastidio indicibile. Allora viene da chiedersi, perché l’hai comprata? L’ho comprata perché nella prova dell’auto, di pochi chilometri, non si arriva mai alla sensazione che viene dopo decine di chilometri o centinaia di chilometri, per cui tale fastidio è stato nascosto dalla brevità della prova. I poveri incapaci che hannno progettato questi interni hanno mai provato l’auto per almeno una decina di giorni e parecchie ore al giorno, di persona? L’hanno mai fatta provare ad una persona di oltre 1,80 di altezza (i mercati europei cui sono destinate, hanno questo tipo di cliente!) Verrebbe da pensare di no! In questo caso il cliente felice lo si rende tale mettendo il cliente come essere umano e corporeo al centro di tutto, anche della progettazione ed ergonomia, capendo che il marketing esperienziale è fondamentale, il marketing esperienziale coinvolge tutti i cinque sensi del cliente. In questo caso la vista è appagata (l’auto è bellissima ai miei occhi), il tatto del volante è piacevole, l’odore dell’auto mi piace, ma la pressione continua sulla tibia sulle plastiche, quella proprio non la posso sopportare. E per questo cambierò auto nonostante i suoi 25 km/litro. Perché il bisogno di ergonomia di un’auto, fattore decisivo, non può essere cancellato dalla sobrietà dei consumi.

La domanda chiave è “perché dalla Hyundai non mi è mai arrivata una chiamata per sapere se ero contento dell’acquisto fatto?” Avrebbero certamente tratto indicazioni importanti per il restyling dei nuovi modelli!

Il caso del cellulare e la rete dati che va a scatti

Ho comprato un secondo telefono per l’ufficio e ho deciso di equipaggiarlo con una SIM di Postemobile, che si appoggia alla rete Wind. La promessa pubblicitaria parla di minuti illimitati, quindi telefonate illimitate, e 50 Giga di traffico in 4G (ad alta velocità per gli standard di oggi). Ciò che non diceva la pubblicità è che questo traffico è di fatto a scatti, hai momenti o intere ore in cui non va, e altri in cui va, per giunta male. In pratica, non puoi lavorare. Il servizio clienti Postemobile mi dice che è normale perché hanno le celle sature di clienti e di provare ad abbassare le prestazioni mettendolo in 3G/2G. Fantastico penso io! Come fare entrare 100 persone in un autobus che ne tiene 50! O chiedere ad una persona che acquista un’auto a 4 ruote di usarne solo 2! E poi viene da chiedersi perché nessuno di quei cento vorrà mai più salire su quell’autobus? Da notare che nello stesso luogo ed ora, una compagnia telefonica concorrente, Tim, che uso come telefono primario – mi offre lo stesso servizio allo stesso costo, con la differenza che FUNZIONA.

La domanda inerente al titolo del libro è “perché dalla compagnia telefonica Postemobile non mi è mai arrivata una chiamata per sapere se ero contento dell’acquisto fatto?” Perché sono stato io a dover chiamare il servizio clienti? Hanno forse paura di qualcosa che non vada? E se qualcosa non va, meglio saperlo, o meglio non saperlo e fare come gli struzzi con la testa sotto alla sabbia?

Si tratta di aneddoti, di casi personali certo, ma sono sufficienti a capire quanto sia fondamentale creare un cliente felice e verificare che lo sia davvero.

Ricaviamo da questi aneddoti alcune indicazioni generale su come rendere un cliente felice.

Il caso del sacco da Kickboxing PRO

Questo è un caso decisamente breve ma istruttivo. Ieri mi metto alla ricerca di un sacco da Kickboxing lungo, almeno 1.70 o 1.80 cm, per poterlo usare anche con i calci. Ne trovo parecchi ma sono tutti esauriti, specialmente della mia marca preferita, Leone Sport. Ne scopro uno invece apparentemente disponibile sul sito, un bellissimo sacco Sphinx made in Thailand, una marca davvero garanzia di qualità.

Prima di fare l’acquisto online, giusto per sincerarmi, decido di chiamare il negozio per sapere se il sacco c’è in magazzino o no. E faccio bene, infatti il sacco non è in magazzino ma il venditore mi assicura che chiamerà la Sphinx per farmi sapere quando arriverà e che in pochi giorni in teoria dovrei avere il mio sacco.

Passa la mattina, nessuna telefonata. Passa il pomeriggio, nessuna telefonata. La mattina dopo, nessuna telefonata. A questo punto ho seri dubbi sul fatto che il sacco ci sia o no. Ma il punto centrale è: cosa costava al venditore darmi una telefonata a fine giornata dicendo ad esempio che stava facendo il possibile per farmi trovare il sacco ma non era ancora riuscito a contattare la Sphinx? Ne avrebbe guadagnato tantissimo in accreditamento e in credibilità personale, e molto probabilmente mi sarei lasciato guidare verso qualsiasi altro acquisto mi avesse suggerito. Il lavoro, la fatica, la deve fare il venditore, non il cliente.

Leggi della felicità del cliente 1 – Della felicità del corpo e della continuità del servizio

Il cliente è felice quando il suo corpo è felice, in relazione all’uso del prodotto. Pertanto, vanno esplorate tutte le implicazioni di marketing visivo, olfattivo, tattile, cinestesico, aptico (legate al contatto) gustativo, e ogni modalità di contatto tra prodotto e cliente.

Il cliente è felice quando il prodotto/servizio risponde alle aspettative con continuità, senza interruzioni di prestazione, senza cali di qualità del prodotto/servizio promesso.

La fatica legata all’acquistare, al cercare informazioni e contatti, al compiere operazioni informatiche o manuali, deve essere fatta il più possibile dal venditore e il meno possibile dal cliente, al fine di accreditarsi come “problem solver” del cliente, in ogni singola fase dell’acquisto, nel pre-acquisto, durante l’acquisto stesso, e nelle fasi post-acquisto. Quando il cliente sa di poter contare su qualcuno di affidabile che è volonteroso nel risolvere i suoi problemi, è più felice, percepisce nel venditore Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, e Unicità (CVBU) legate al fattore umano, che fanno da collante tra il cliente e l’azienda.

 

[1] Sharon Shavitt, Carlos J. Torelli, Jimmy Wong (2009), Identity‐based motivation: Constraints and opportunities in consumer research. Journal of Consumer Psychology, Volume19, Issue3.

[2] Eric J. Arnould, Craig J. Thompson (2005), Consumer Culture Theory (CCT): Twenty Years of Research. Journal of Consumer Research, Volume 31, Issue 4, March 2005, Pages 868–882

[3] Julian K Saint Clair, Mark R Forehand (2020), The Many-Faced Consumer: Consumption Consequences of Balancing Multiple Identities, Journal of Consumer Research, Volume 46, Issue 6, April 2020, Pages 1011–1030.

[4] Daniel Sheehan, Sara Loughran Dommer (2020), Saving Your Self: How Identity Relevance Influences Product Usage. Journal of Consumer Research, Volume 46, Issue 6, April 2020, Pages 1076–1092.

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© Copyright. Materiale di formazione vendite per il corso vendita Solution Selling, basato sui concetti esposti nel  libro “Psicologia dell’acquisto. Psicologia del marketing e della comunicazione centrata sulle esperienze d’acquisto

 

Vendita Consulenziale. Partire dalla conoscenza di sè

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Estratto dall’inizio del testo Ebook sulla Vendita consulenziale:

Conoscere sé stessi, conoscere l’altro, capire la relazione in corso

Copyright Daniele Trevisani dal testo “Strategic Selling”. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Franco Angeli, Milano.

Conoscere sé stessi, conoscere l’altro, capire la relazione in corso. Esamineremo ora il primo aspetto: conoscere sé stessi.

A quali aspetti della conoscenza di sè dobbiamo prestare attenzione?

Le scienze umane e la psicologia hanno evidenziato da tempo che aumentando la conoscenza dei propri meccanismi interiori si incrementano anche le abilità relazionali. Di certo che questo tocca anche le attività di vendita e negoziazione.

La vendita consulenziale è una scuola di vendita, ma soprattutto un grande laboratorio di ricerca applicativa e scientifica sulla comunicazione, sulla crescita personale, sui rapporti umani. Tocca inoltre fortemente i temi dello sviluppo (personale e organizzativo) e dell’antropologia (scienza del comportamento umano).

Ogni cultura stabilisce precisi margini di manovra per i comportamenti umani e definisce schemi comportamentali (frames culturali) che possono considerarsi accettabili da quella cultura stessa, o invece devianti.

Una prima scoperta da fare è quella della propria cultura latente, gli schemi che ciascuno di noi porta con sè, le regole e le credenze che guidano le nostre azioni e le nostre scelte, in modo anche subconscio.

Questo consente di esplorare alcuni limiti e blocchi che tutti noi portiamo con noi stessi nelle nostre attività professionali e soprattutto di interazione con gli altri.

Una seconda scoperta riguarda la cultura della propria organizzazione, i suoi punti di forza e di debolezza.

Una terza scoperta riguarda l’analisi dei giochi di interazione che accadono durante un incontro, cioè cosa accade sullo scacchiere negoziale, le mosse di una negoziazione complessa.

I giochi che accadono durante una vendita sono frutto di meccanismi psicologici che avvengono nell’individuo e nel gruppo.

Dobbiamo quindi saper distinguere i meccanismi dell’individuo da quelli del gruppo, e le loro reciproche interazioni.

Affrontare la vendita e la negoziazione con consapevolezza di sè significa intraprendere un percorso:

  • affrontare la scoperta di sè, la propria personalità, e i suoi limiti, un passo che l’individuo deve per forza compiere se desidera rimuovere blocchi e barriere che ne impediscono il pieno sviluppo professionale;
  • creare “consapevolezza aumentata” dell’organizzazione per cui si lavora, e dei suoi potenziali.vendita consulenziale daniele trevisani la consapevolezza di sè

Chi e cosa rappresento

Chiunque entra in scena in una vendita ha un ruolo che viene alimentato dall’istituzione che rappresenta.

Rappresentare una istituzione, o anche solo se stessi, significa mettere in scena la propria identità, la propria storia, la propria cultura e i propri valori.

Durante una vendita può accadere che l’individuo non sia sufficientemente abile nel trasferire il proprio “essere”, il proprio “io”, la propria identità, e quella aziendale, e quindi venga confuso con “qualcos’altro”.

Ad esempio, un costruttore di parti meccaniche su misura, una PMI che possiede anche un reparto di progettazione tecnica, può essere confuso con un semplice contoterzista che vende solo manodopera qualificata (e non progettualità).

Se questo accade possono nascere errori e incomprensioni (essere visti come dei saldatori invece che degli artigiani-ingegneri). Ancora, un militare in missione di pace può essere visto e percepito come un invasore e non come un pacificatore. Un consulente in comunicazione strategica può essere percepito erroneamente come un pubblicitario. Un educatore può essere confuso con un animatore, e via così.

In questi e in molti altri casi è essenziale chiarire la propria identità.

 I nostri confini. Confini operativi, confini della mission, cosa facciamo, cosa non facciamo, e perché

La missione aziendale o organizzativa definisce il motivo di essere dell’organizzazione stessa. La missione va interpretata come “relazione di aiuto”. Capire verso chi, e per cosa, noi siamo in grado di generare aiuto, è il tema stesso della scoperta dei confini.

Dobbiamo sapere esattamente cosa rientra nella nostra missione e cosa non vi rientra. La missione si definisce in base a ciò che si fa ma soprattutto in base a quello che non si fa (a ciò che ne sta fuori). Dobbiamo avere una forte cultura dei confini.

Facciamo un esempio: un’agenzia di information Technology può avere una forza vendita che non sa esattamente se la propria azienda offra o meno siti web realizzati per conto terzi, essendo in realtà l’azienda specializzata in networking e telefonia. In passato sono state svolte alcune realizzazioni di siti web per clienti amici, ma sporadicamente; la realtà dei fatti crea una condizione tale che alcuni venditori possono rispondere “si, facciamo anche siti web”, e altri affermare “no, noi non facciamo assolutamente siti web, siamo una società di telecomunicazioni”.

Anche un formatore può vivere lo stesso problema, quando il suo lavoro viene ad essere identificato come erogatore di contenuti prodotti da altri (canale formativo) o invece come progettista di formazione, o entrambi. Se questi confini non sono definiti, le sue interazioni con il cliente ne soffriranno.

Non sarà mai in grado di dare risposte sicure. Cadrà in continue contraddizioni e trasuderà incertezze.

Ovviamente tutto questo margine di insicurezza e indecisione sulle identità (chi siamo e cosa facciamo) si ripercuote negativamente sulle vendite.

A questo, tuttavia, si può rimediare lavorandovi con un buon training sulle consapevolezze dei confini della mission e della propria identità.

La consapevolezza dei confini riguarda anche la conversazione: centrare i temi e i gli argomenti

Chi applica la consapevolezza riesce a trasportarla nel teatro di vendita e di negoziazione. In ogni ambiente, in ogni situazione.

Uno dei temi più importanti della negoziazione è quello di saper fissare i confini e gli argomenti della conversazione, all’inizio, e durante, se necessario. Una frase che manifesta questo è tipicamente “siamo qui per…”.

Tuttavia, pronunciare la frase “siamo qui per… e non per…” richiede prima di tutto un processo mentale di consapevolezza, e solo dopo può diventare un processo comunicativo esteriore.

Senza consapevolezza, i tempi comunicativi interpersonali vengono distorti, e l’efficienza dei frame comunicativi soffre. Perdiamo tempo in dettagli inutili invece di centrare i temi chiave della negoziazione.

Quando la conversazione non tocca i temi cruciali, la negoziazione non ha successo. Ad esempio, “siamo qui per condividere alcuni principi di base” è un formato di conversazione specifico (formato della condivisione di principi), mentre “siamo qui per valutare se e come possiamo essere di aiuto” è un formato diverso (formato della relazione di aiuto).

Ogni formato sottostante la negoziazione richiede consapevolezza.

Ogni interazione avviene attraverso tempi interni che ne delimitano i diversi frame.

  • L’economia della comunicazione interpersonale può far emergere le disfunzioni nella gestione dei tempi comunicativi: siamo o meno bravi a gestire i tempi, a sfruttare bene il tempo, a non disperderci, a centrare e ricentrare le conversazioni?
  • Spesso i tempi comunicativi non seguono un format condiviso tra i due interlocutori, creando problemi all’efficienza ed efficacia. Siamo bravi a generare dei format efficienti? Siamo consapevoli del format che l’altro sta cercando di imporre?
  • Negli incontri professionali e negli incontri critici (es: negoziazione di carriera, negoziazione commerciale), è necessario impostare un format efficiente ed efficace, comunicarlo e condividerlo (impostare e negoziare il format subire il format).

vendita consulenziale e struttura della conversazione

 

Il vero significato della formazione, del coaching e di ogni azione educativa. Fare formazione e coaching per appiattire nella media, o per far emergere il massimo potenziale della persona

formazione attiva

Maestro, mio figlio ha riportato la pagella con un voto basso in matematica e alto in disegno.

Vado a cercare un professore esperto in matematica che lo possa aiutare?

Assolutamente no, vai a cercare il maestro di disegno più bravo che c’è.

Alejandro Jodorowskj

Fare formazione e insegnare significa agire sul fattore umano per alimentare i talenti e far emergere i tratti straordinari delle persone, e non mortificare tutto in una “pianura di competenze” immersa nella nebbia del “tutti uguali”.

La mortificazione inizia da piccoli e prosegue da grandi.

Il modello fondamentale della formazione e dell’educazione in ogni sua forma è ancora quello dello “skills gap”: basato sulla domanda latente “che lacune hai rispetto alla media?” Pochi formatori e coach si pongono veramente il problema di quali tratti ancora inespressi la persona abbia, di quali performance potrebbe ancora raggiungere se solo aumentasse il suo grado di energia, di motivazione e di competenze.

Rientrare nella media non è il mio obiettivo. Portare le persone ad essere il massimo di ciò che possono essere, lo è. Alla grande!

Per farlo, bisogna passare da una formazione “ascoltata”, una formazione “ad una via” dove abbiamo un docente che parla e allievi che ascoltano, ad una formazione attiva, esperienziale, dove gli allievi “fanno” e sperimentano in prima persona le variabili critiche e i contenuti che stiamo trattando. Esistono centinaia di tecniche di formazione attiva e il vero ruolo di un insegnante consiste nello saper scegliere quali tra queste tecniche attive alimenatno di più un vero apprendimento interiore e non solo le conoscenze esteriori. Quando si apprende un atteggiamento, questo può rimanere per tutta la vita. Quando si apprende una conoscenza intesa come “sapere” o dato, questo dato può scomparire dalla memoria in poche ore. Su una lezione standard, su cento concetti trasmessi quanti ne rimangono il giorno dopo? Se invece riusciamo a trasmettere un atteggiamento, o un valore, questo può insediarsi nella mente della persona e nel repertorio di competenze per sempre. Un esempio è l’ascolto attivo, per il quale nemmeno decine di ore sono sufficienti a far si che la persona diventi veramente empatico e buon ascoltatore, mentre in un paio d’ore di esercizi di ascolto attivo pratici, esperienziali, questo diventa più possibile e soprattutto permanente.

Lo stesso vale per uno sports coaching in cui la domanda latente sia “quanto sei diverso dalla media?” affinché con un programma io ti ci possa riportare. Grave errore, che fa dimenticare quali punti di forza e di diversità la persona abbia e che proprio con il coaching possono essere valorizzati.

Se ragioniamo solo di lacune, se le colmiamo, sembra andare tutto bene, ma così rientri nel gregge. Niente a che fare con il modello del “Talent leveraging” (letteralmente, fare leva sul talento), che si chiederebbe “cosa di eccezionale sa, sa fare, o ha nel cassetto, cosa può avere questa persona di splendido da offrire, e come impiegare queste sue doti e talenti, valorizzarle, trasformarle in espressività concreta?”

Il nodo centrale è quindi se puntare ad un appiattimento di competenze, o ad un equilibrio sano sul quale possano svettare alcuni picchi di abilità che rendono la persona unica o straordinariamente utile, efficace, felice.

Modificare e potenziare gli assetti ed equilibri della persona è arte difficile. Aumentare e rivedere le competenze, le energie e motivazioni delle persone è uno dei compiti più delicati. Questo risultato richiede metodi decisamente diversi dallo svolgere lezioni accademiche o fare prediche e ramanzine.

Le tecniche principali da utilizzare ricadono nel repertorio della formazione attiva (active training), del deep Coaching o coaching trasformazionale, opposto ad un coaching solamente incrementale, che punta solo ad aggiungere o sovra-stratificare.

Si arriva fino all’Experiential learning, l’apprendimento intenzionale derivante da esperienze pratiche, sensoriali, che puntano tutto sul “far sentire”, sul “far vivere” un brano di esperienza nella formazione e nel coaching, e non solo a raccontarlo.

Fare active training significa letteralmente realizzare formazione attiva, apprendimento basato sull’azione. Questo significa rivoluzionare la modalità di trasmissione di concetti e insegnamenti dal piano del “racconto” (dire, parlare, insegnare a voce) al piano del far accadere qualcosa (training events, instructional events, training experiences, o altri input esperienziali).

Mentre nella formazione classica è essenziale il testo scritto (lettura) o produzione orale del docente (ascolto di una lezione, in qualsiasi formato sia), nella formazione attiva il fulcro diventa il tipo e modalità di esperienza pratica che riesco a generare con una “regia di formazione” e una “regia di coaching”, e la fase di successiva assimilazione interiore, e non solo esterna, che riusciremo a produrre nel partecipante.

La rivoluzione comportamentale del formare attivamente consiste nel “parlare” il meno possibile e nel creare il più possibile azione, svolta da chi deve apprendere o essere formato.

Toccare con mano ha decisamente più effetto che “sentir dire”. Far “inciampare” un partecipante su un errore per poi rifletterci sopra, ha più effetto che raccontare l’ipotetica possibilità che esso si verifichi.

Riuscire a valorizzare un talento non è fortuna, non è caso, è scienza applicata alle potenzialità umane. Una nuova scienza dell’espressività della persona, dell’emersione dei suoi lati più affascinanti, unici, ricchi di valore per sè, per gli altri, per le aziende, persino per la razza umana nel suo complesso.

Il Coaching, se fa emergere davvero le potenzialità, è sacro. E si può partire dal piccolo, dal molto piccolo, da ogni singola sessione di coaching, di personal training, o di formazione attiva.

Se qualcuno (o il bisogno economico) avesse costretto Leonardo da Vinci a fare lo Chef, magari avremmo avuto un ottimo Chef, ma tante invenzioni irripetibili perse.

E se Einstein non avesse avuto qualcuno con cui discutere delle sue teorie, senza che lo considerassero “quello strano impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna che si crede un Fisico”[1], probabilmente saremmo ancora in un medioevo della fisica e astrofisica.

Facilitare l’emergere del potenziale è la vera ragione dell’esistenza dell’insegnamento e della formazione. L’insegnamento diventa un atto di dono profondo, ispirato e immenso, una formazione attiva e impegnata. Quando riusciamo a creare queste condizioni, qualsiasi vero intervento educativo a livello umano diventa un modo molto saggio di investire energia e tempo.

Insegno con questi pensieri nella mia testa e preparo qualsiasi lezione con questo approccio, anche quando fare allenamento attivo è più difficile che semplicemente “parlare”.

Ogni volta che siamo in grado di aumentare il potenziale umano di qualcuno, lui/lei diventa un’arma in più che la Razza Umana ha contro l’ignoranza, la povertà, la miseria e un faro in più per un’umanità illuminata, uno strumento potente per la libertà materiale e spirituale di tutti noi.

[1] È noto che Albert Einstein, prima di ricevere onori accademici e incarichi universitari, abbia elaborato le sue principali teorie sulla fisica quando era un semplice impiegato presso l’Ufficio Brevetti di Berna, in Svizzera.

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