Per una Psicologia del Coraggio

  • Ha coraggio chi interviene in un incidente stradale sapendo in anticipo che vedrà cose orribili, forse non potrà salvare tutti, forse nessuno, ma non sta fermo a guardare, il solo pensiero di poter provare ad aiutare è sufficiente. Accetta il rischio di fallire.
  • Ha coraggio chi difende una ragazza o bambino da una aggressione, magari da più persone, sapendo di potersi far male, e va avanti comunque.
  • Ha coraggio chi emigra per cercare lavoro o una nuova vita, così come chi si sacrifica a rimanere in un paese ingiusto per un certo periodo della vita, per una causa superiore.
  • Ha coraggio chi dice quello che pensa anche contro i potenti o contro il pensiero dominante, piuttosto che sprecare la propria vita ad obbedire a qualcosa a cui non crede.
  • Ha coraggio chi ama i figli, la vita, l’universo, e si impegna per questo amore, connettendosi ad una “emozioni superiore” che è il pulsare della vita cercando di stare lontano dalle questioni superficiali e dalle banalità vuote.

Qualsiasi esempio vogliamo fare, quello che facciamo innesca in noi una cascata di emozioni. E come una cascata, puoi osservarla da fuori, da lontano, quasi indifferente, o immergerti, farla tua, ed arrivare ad osservare e apprezzare ogni singola goccia d’acqua.

Copyright dott. Daniele Trevisani, http://www.studiotrevisani.it – dal libro in costruzione, Franco Angeli editore

I principi del Kaizen – miglioramento continuo, formazione continua, umanizzazione del lavoro

Ci si chiede spesso perchè le industrie orientali siano in una costante progressione, di mercato e di qualità. Conviene analizzare la cultura che le contraddistingue, e prendiamo come esempio culturale il Giappone, e il processo di Kaizen o miglioramento continuo

(materiale seguente elaborato da Wikipedia)

Il Kaizen è un processo quotidiano il cui scopo è il miglioramento dell’efficienza produttiva soprattutto attraverso la umanizzazione del posto di lavoro:

  • Disegnando la linea produttiva ed i processi ad essa collegati seguendo le esigenze del Lavoratore;
  • La progressiva eliminazione del lavoro pesante e/o ripetitivo (“muri“) con ampio ricorso a processi automatizzati;
  • La formazione continua del personale attraverso processi di riqualificazione tecnologica e stages di apprendimento dedicati;
  • L’addestramento del personale all’utilizzo del metodo scientifico per trovare ed eliminare gli sprechi (“muda“);
  • Il coinvolgimento e l’identificazione del personale con la Vision aziendale.

Secondo l’approccio Kaizen, l’umanizzazione del posto di lavoro, ad ogni livello e coinvolgendo qualunque processo aziendale, comporta un aumento della produttività: “’’l’idea è quella di nutrire le risorse umane dell’azienda elogiandole ed incoraggiandole alla partecipazione delle attività legate alla Qualità’’”[34].

Il personale dell’Organizzazione, dal C.E.O. fino all’addetto alle pulizie, tanto quanto tutti gli stakeholders (per i processi ad essi dedicati), è tutto inderogabilmente coinvolto nel processo di miglioramento e nella gestione della Qualità.

Presupposti necessari (per altro non sufficienti) al coinvolgimento totale dei singoli alla realizzazione degli scopi dell’Organizzazione sono:

La ingegnerizzazione del posto di lavoro sul modello Kaizen può essere descritta con 5 idiomi Giapponesi tutti traducibili in inglese con altrettante parole che iniziano per esse (“5S”):

Applicazione del sistema organizzativo 5S all’attività di pulizia
  • Seiri (Ordine) comporta l’eliminazione del superfluo (strumenti di lavoro inutili, istruzioni operative non necessarie, cartellonistica inessenziale, etc.), classificazione dell’essenziale in ordini di priorità (sulla base dei cicli di utilizzo) e facilitazione della fruibilità.
  • Seiton (Stabilizzazione) segue la fase di Seiri e presuppone l’identificazione degli spazi essenziali per la costruzione del posto di lavoro facilitando l’identificazione e la rintracciabilità degli strumenti.
  • Seiso (Pulizia) del posto di lavoro e delle attrezzature, regolare manutenzione e ripristino dell’ordine dopo ogni turno di lavoro.
  • Seiketsu (Standardizzazione) tutte le postazioni di lavoro riferibili ad una identica funzione devono essere uguali ed intercambiabili, consentendo al lavoratore di orientarsi in ogni stazione soprattutto attraverso l’uniformità delle attività lavorative attraverso Istruzioni Operative standardizzate.
  • Shitsuke (Sostenere), una volta stabilita una prassi essa dev’essere mantenuta e nel caso migliorata, evitando di guardare a vecchi standards ed abitudini obsolete.

Training Mentale e Neuroscienze: conoscere e dominare i nostri due motori mentali

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Articolo Copyright. Estratto dal volume Self Power, di Daniele Trevisani – http://www.studiotrevisani.ithttp://www.danieletrevisani.com

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Abbiamo due motori mentali ciascuno dei quali di potenza inaudita. Il primo motore, il più facile da attivare, è il sistema attacco-fuga, dominato dal sistema nervoso simpatico. E’ il motore che può portarci ad avere la forza di un animale e i sensi di un felino, o bloccarci e paralizzarci, in modo ancestrale. Il secondo motore è quello che permette il recupero, il rilassamento, la rigenerazione, il sistema nervoso parasimpatico. E’ il motore che può portarci verso nuovi ed inesplorati stati di coscienza. In genere operano autonomamente, ma possiamo imparare a “guidarli”? Si, tramite il Training Mentale, questo nuovo orizzonte è possibile.
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Emozioni e neuroscienze. Training Mentale per accedere ai poteri della mente
Non ci sarà mai pieno accesso al nostro potenziale finché non capiamo come funziona la nostra macchina biologica e mentale, e sfruttare i tanti reattori di energie che nasconde
(Daniele Trevisani)

Dentro di noi lavorano ogni istante due sistemi specifici (Simpatico e Parasimpatico) con compiti diversi.
Conoscerli è bene per capire cosa ci succede di fronte sia al pericolo che nei casi di ansia o di attivazione. Ma anche per rilassarci meglio…

Sistema Nervoso Simpatico e Parasimpatico. Rompere i condizionamenti forzati e imparare il sistema Stimolo-Elaborazione-Risposta.
Molti nostri comportamenti quotidiani – senza che ce ne rendiamo conto – sono dominati dal meccanismo Stimolo-Risposta. Automatismi innati che funzionano bene nel mondo animale ma meno in un mondo sociale.
Tu mi aggredisci, io aggredisco te. Tu mi fai un sorriso, io ti faccio un sorriso. Tu mi ignori, io mi rattristo o ancora peggio mi avvilisco. Qualcuno rifiuta un tuo progetto o lavoro, tu ti senti svalorizzato. E magari cominci a pensare di non valere.
Il passo successivo è lo stress, e l’attivazione del SNS – Sistema Nervoso Simpatico, che determina le reazioni attacco-fuga.
E’ un sistema che opera a livello primordiale, nato per farci sopravvivere di fronte ai pericoli della savana, della giungla, degli assalti di tribù nemiche.
La fuga prende forma o di corsa (scappare) o di blocco fisico (come un animale che si irrigidisce quando attaccato, ma capita anche alle persone). Un blocco comportamentale o decisionale, non riuscire più a muoversi, o a decidere, è una forma di fuga dal pericolo mossa dal SNS (bloccandosi l’animale pensa di non farsi più vedere dal predatore o darsi per morto).
L’attacco può prendere forma fisica, o verbale, violenta o sottile.
Il Sistema Simpatico è anche chiamato sistema “fight or flight” = combatti o fuggi. Alcuni segnali sono la dilatazione della pupilla, aumento della pressione arteriosa, del battito cardiaco, si blocca la digestione per aumentare il flusso di sangue ai muscoli, si blocca la peristalsi (la discesa del cibo nel tratto digerente), aumenta la frequenza respiratoria, la sudorazione, e può arrivare anche urgenza di defecare.
E’ la tipica reazione dell’uomo antico di fronte ad un leone, o ad una minaccia o pericolo di vita: fuggire o difendersi. Scappare o attaccare.
Il problema è che oggi questo sistema “parte” anche quando sentiamo un pericolo non così reale, come un compito in classe, una presentazione di fronte ad un pubblico, o una discussione accesa.
Ma quando entra in scena il Sistema Simpatico? Serve che qualcosa lo faccia “accendere”, serve uno stimolo. Di fronte a questo stimolo, si determina una risposta (meccanismo Stimolo-Risposta, o S-R).
Il “Condizionamento mentale” accade quando sei stato sottoposto al sistema Stimolo Risposta, l’hai appreso come unica modalità di comportamento – e non te ne sei reso conto.
E’ possibile apprendere a dominare meglio il proprio SNS? Nella mia esperienza professionale ho maturato la necessità di insegnare a miei clienti e allievi una competenza nuova, sviluppare un modello diverso: S-E-R (Stimolo-Elaborazione-Risposta). In questo training lo scopo è far si che le risposte comportamentali sfuggano al controllo obbligato del Sistema Simpatico. In altre parole, diventare più padroni del proprio comportamento anche in casi estremi e in ambienti estremi o altamente sfidanti, dal punto di vista fisico (pericoli fisici) o sociale (pericoli sociali).
Il risultato è rimanere coscienti e lucidi. Guardare in faccia i pericoli, guardare in faccia la paura, minacce, o la morte senza esserne sequestrati, bloccati o annientati perdendo di vista le opzioni possibili.

Le tecniche per applicare queste conoscenze sono numerose, dal training autogeno al biofeedback, la visualizzazione, la concentrazione, sistemi alternati di decondizionamento dalla risposta automatica, abbinanti a stressor guidati, ma esse devono essere usate sapientemente, con la guida di un vero Maestro esperto, così come per ogni motore serve un tecnico preparato.

Questo riguarda sia le persone comuni, ma anche manager, atleti, negoziatori, comunicatori, padri o madri, vigili del fuoco, responsabili della sicurezza, o protezione civile, che devono apprendere assolutamente a portare il proprio comportamento entro la sfera del proprio controllo volontario.
Esiste un allenamento specifico – e come ogni allenamento bisogna ripeterlo varie volte sino alla completa padronanza. Utilizza metodi dalla bioenergetica, il training mentale e training fisico, e funziona come “decondizionamento” allenando la mente alla focalizzazione e lucidità anche in condizioni difficili.
Questo è possibile, nella mia esperienza con migliaia di persone, sia per chi opera sulle performance intellettuali che su quelle fisiche e sportive.
In questa testimonianza dalla Campionessa Mondiale di Boxe Femminile Professionisti, Simona Galassi, lascio che siano le sue stesse parole a far emergere quanto una immissione di energie, in questo caso tramite Training Mentale, possa avere effetti non solo sullo stato mentale ma anche sul piano strettamente fisico.

Diario di Simona - Training Mentale

Le sedute di Training Mentale sono in grado di “muovere” sia la capacità di attivazione che la capacità di rilassamento.
Il vissuto del rilassamento è il territorio del Sistema Nervoso Parasimpatico (SNP) – il sistema opposto al “sistema nervoso simpatico”.
E’ lo stato del “riposa e recupera”, della rigenerazione fisica e mentale. Dirige più sangue all’apparato digerente per favorire i processi digestivi, riducendone la presenza nei muscoli, restringe le pupille (non c’è più bisogno di cercare un predatore e gli occhi possono riposarsi), diminuisce la frequenza del battito cardiaco, rallenta la frequenza respiratoria, aumenta l’azione di ormoni anabolizzanti che favoriscono la rigeneraione di risorse energetiche nel corpo.
Anche per questo, il Training Mentale può fare molto, rimettendo la persona in grado di rilassarsi quando vuole farlo, vivere con serenità compiti e sfide, recuperare le energie, saper “spegnere i motori” e rilassare corpo e mente quando serve.
Un motore che non viene mai ricaricato prima o poi finisce la benzina e noi siamo esattamente così. Se non impariamo a recuperare energie, non ne avremo quando le andremo a cercare.
Il vero accesso al nostro pieno potenziale passa attraverso una riflessione profonda ma non nega le neuroscienze, la fisiologia, la conoscenza della macchina biologica e mentale che portiamo dentro di noi e che nasconde mille trucchi da imparare e sfruttare.

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La scansione visiva e i segnali di attenzione

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Le ricerche hanno evidenziato che le persone non hanno la capacità di cogliere istantaneamente tutti i punti di una scena o di un’immagine, ma seguono, con tempi più o meno lunghi, dei precisi percorsi di fruizione. Ad esempio, una scena visiva verrà analizzata secondo percorsi dominati da segnali di attenzione e altri meccanismi psichici, e non scansionata come da uno scanner – dall’alto al basso, da destra a sinistra o viceversa.

I percorsi possono venire studiati e riprodotti, come evidenziato da Yarbus (1967), che ha sottoposto a scansione i punti di osservazione di un dipinto, ricavandone i percorsi visivi.

Inoltre, ciò che è emerso dagli studi, è che i percorsi di scansione variano a seconda del compito specifico richiesto al fruitore. I percorsi oculari saranno diversi se si chiede all’osservatore di cercare di individuare la possibile tipologia di stanza nella quale avviene la scena (casa, o albergo) o ancora se si chiede di definire cosa stia succedendo nella scena nei rapporti tra le persone (litigio, amicizia, tradimento, ecc.).

Le ricerche illustrano che l’umore dei soggetti modifica radicalmente l’interpretazione dell’immagine. In un esperimento di Leuba e Lucas (1945) veniva mostrata la stessa immagine (una scena di persone sedute su un prato mentre ascoltano la radio) a soggetti nei quali era stato creato, tramite ipnosi, un diverso grado di umore. I soggetti indotti in stato di happy mood (felicità) interpretavano in essa un paesaggio con persone che chiacchieravano piacevolmente; i soggetti in stato di critical mood (critica) vi vedevano persone che stavano “rovinando i propri pantaloni sedendosi su un prato”, i soggetti in anxious mood (ansietà) vedevano nella stessa “persone in apprensione”.

Rimanendo in tema di scansione visiva, il procedimento di scansione può essere applicato ad una fotografia, ad un quadro, o alla percezione visiva di un prodotto. Se potessimo seguire i nostri movimenti oculari mentre osserviamo un’immagine, saremmo sorpresi nel notare che i nostri occhi non si muovono lentamente o continuamente, sul piano dell’immagine, ma agiscono freneticamente.

Per notare questo fenomeno, è sufficiente osservare un amico mentre visualizza una fotografia o disegno. Potremo notare il soggetto effettuare una serie di fissazioni (nelle quali l’occhio si blocca per frazioni di secondo) e saccate (movimenti balistici veloci).

Alcune zone del campo visivo subiscono numerose fissazioni (zone ad alta concentrazione), mentre altre vengono praticamente ignorate.

La ragione per la quale dobbiamo muovere gli occhi è che il potere di elaborazione reale dell’occhio è contenuto in una regione minuscola della retina chiamata fovea. È qui che vengono processati i colori e i dettagli.

Solo una piccola parte di tutta l’informazione disponibile viene percepita direttamente dalla fovea. Perciò, per vedere l’intera scena, dobbiamo dirigere gli occhi scansionando diverse sue porzioni.

Perché si seguano certi punti della scena e non altri, non è ancora ben determinato. I misteri della percezione non sono stati ancora del tutto svelati. Come evidenzia il centro di ricerca IPL:

Come il nostro sistema di percezione visiva crei un’esperienza visiva ricca e continua partendo da una sequenza di fissazioni e saccate è una delle questioni più intriganti e affascinanti oggi nella psicologia cognitiva visuale.

Ma cosa accade durante la scansione? Il processo principale è costituito dal fatto che si attivano filtri attentivi, i quali attuano una scansione costante per valutare se vi siano elementi che meritano di essere posti al centro della fovea.

Tra gli elementi che danno luogo a questo spostamento di attenzione vi sono in particolare i movimenti non attesi nel contesto in cui ci si trova. Se ad esempio durante la lettura di un libro si coglie un movimento laterale, un oggetto o un’ombra che si muove, l’attenzione si sposta per scansionare quel movimento, alla ricerca di segnali che ci indichino che si può stare tranquilli e possiamo continuare a leggere, o che piuttosto dobbiamo iniziare a preoccuparci.

Studi etnometodologici in corso da parte dell’autore evidenziano che tra le prime attività di scansione sociale messe in atto all’ingresso di un certo ambiente (un bar, un ascensore, un’aula didattica), vi è la ricerca inconscia dei possibili segnali di pericolo (danger cues), riguardante diverse possibili fonti (persone pericolose, ambienti, vie di fuga, spazi disponibili) seguita dalla ricerca di facce note, osservazione dei personaggi e delle situazioni sociali che stanno accadendo (social scan).

Lo stesso avviene in termini di scansione dei prodotti/servizi: i clienti annotano possibili fonti di pericolo nel prodotto (es: un elemento spigoloso e appuntito in un gioco per bambini) e negli ambienti (es: personaggi loschi all’ingresso di un bar) e da questo derivano le azioni da compiere (acquistare o non acquistare, entrare o non entrare, stare allerta o rilassarsi).

Il tutto avviene – in condizioni normali – al di fuori della sfera della consapevolezza, tranne che per individui addestrati professionalmente, ad esempio bodyguard, security, forze dell’ordine.

Oltre alla ricerca di fonti di pericolo, il prodotto viene scansionato alla ricerca di segnali interessanti, di elementi evocativi, che si collegano prevalentemente all’inconscio (es: forme anatomiche e sessuali).

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Una nuova arte del produrre e ri-generare le energie personali

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In ogni persona e in ogni organizzazione vengono profuse energie per ricercare il piacere (gioia, soddisfazione, sensazioni positive, risultati, contributi) e rimuovere la sofferenza e il dolore, in qualsiasi forma si presentino (disorganizzazione, confusione, malattia, perdita di senso).

Spesso queste energie vengono profuse per “riparare” danni, ma non per costruire. Rimosso il dolore, il lavoro si ferma, sino al prossimo danno o malattia dell’individuo o dell’organizzazione.

Troppe volte ho visto persone e aziende mettere “pezze” su impalcature organizzative che non le potevano reggere, medicare con acqua fresca ferite che chiedevano suture. Ho visto rattoppare castelli di sabbia spacciandoli per grattacieli.

Guardare avanti e costruire il nuovo è uno degli scopi primari di un metodo proattivo sul potenziale umano, un orientamento che differenzia il coaching dalla terapia. Il coaching ha lo scopo primario di costruire, mentre la terapia intende soprattutto “riparare”.

Lavorare a qualcosa di costruttivo significa anche poter esprimere se stessi, (self-expression), sviluppare progetti e idee di cui essere fieri ed orgogliosi (self-achievements), portare nel concreto il proprio potenziale (self-actualization). Alcune riflessioni:

  • Rigenerare significa cambiare stile di vita quando quello attuale ci offre segnali di disfunzione: saperli ascoltare, non soffocarli.
  • Rigenerare significa avere aria fresca da respirare, fare nuove esperienze.
  • Rigenerare significa cambiare stile di pensiero: come pensiamo oggi. Occorre umiltà: il nostro stile cognitivo attuale non è necessariamente il modo migliore di pensare.
  • Possiamo agire sulla capacità di vedere le cose e usare tecniche mentali più produttive. Possiamo metterci in discussione e crescere anche su questo piano.
  • Un percorso di Crescita Personale è arte e tecnica, chiede impegno ma offre doni immensi.

E’ importante andare avanti, anche quando la massa rimane ferma in un acquario di stupidità, anche quando sembra di essere strani e ci si sente soli. La solitudine è accettabile e a volte persino inevitabile, quando accompagna momenti di profonda crescita e cambiamento.

E dopo aver cambiato noi stessi, siamo certi che le persone che ci circonderanno o si uniranno a noi, saranno migliori. Sperimenteremo un’unione con dei valori, forti e saldi, che non ci faranno mai sentire soli, un’unione con chiunque abbia sostenuto e stia sostenendo un viaggio di crescita personale, sperimenteremo un’unione con persone e idee e le sentiremo vicine, non importa quanto distanti nel tempo e nello spazio.

Accettare di uscire dalla massa forzata, è in sè un valore.

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L’acquario comunicativo

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Una matrice che ti aiuta a comprendere gli effetti comunicativi. Che tipo di comunicazione pratichi di solito? Che messaggi “subisci”? Quali effetti provochi?

I due fronti della Comunicazione, emissione e ricezione, possono essere combinati con tre tipi fondamentali di effetti: effetti negativi per chi li riceve, effetti neutri, effetti positivi.

Ognuno di noi abita in un certo “acquario comunicativo”, dove predomina un certo tipo di colore dell’acqua, e possiamo valutare anche se l’acqua sia o meno pura, e vi siano cascate o acqua stagnante.

Se abiti in un acquario comunicativo in cui i messaggi che ricevi sono prevalentemente negativi, e non ti sai schermare, presto ti intossicherai.

Se ricevi messaggi buoni, messaggi che aiutano, devi imparare ad aprirti ad essi, altrimenti finiranno nel gruppo due, messaggi che scivolano via come l’acqua su un tetto.

Le tue comunicazioni sono altrettanto importanti. Esse possono fare bene a chi le riceve (relazioni di aiuto), o essere sostanzialmente indifferenti come effetto (dispersione di energie comunicative), o avere scopo distruttivo, far star male le persone, volontariamente o involontariamente.

Chiediti sempre in che acquario comunicativo sei. Cerca di prendere boccate d’ossigeno, più boccate d’ossigeno prendi più diventi lucido e cosciente di dove sei e di quali messaggi ti arrivano, e di quali messaggi invii tu, e che effetto producono.

Quanti pesci hanno la fortuna di salire su un pallone aerostatico e osservare dall’alto se stessi? Capire se stanno nuotando in un fiume, in uno stagno, o in un oceano, e vedere quanto è o meno inquinata l’acqua in cui nuotano? Noi, questa consapevolezza, la vogliamo cercare attivamente..

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Dall’incomunicabilità alla comunicazione costruttiva

incomunicabilitàLa drammaturgia della vendita consulenziale, i suoi rituali di interazione: copioni, maschere, personaggicomunicazione

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Tracciare un percorso che porti dall’incomunicabilità alla comunicazione costruttiva è un’impresa titanica, difficilmente completabile in una sola vita, un traguardo visionario, ma anche un motore d’ispirazione. Ma, per quanto difficile, merita un impegno.

In decenni di ricerche scientifiche e consulenze sul campo, ho potuto sperimentare la difficoltà delle persone a comunicare il proprio pensiero, a capire quello altrui, e le conseguenti difficoltà delle aziende nel cooperare.

Allo stesso tempo, ho potuto vedere (come tutti voi) che, quando la comunicazione funziona, immediatamente ne emergono i frutti. Quando invece la comunicazione è bloccata o malfunzionante, si crea conflitto, le relazioni interpersonali soffrono, i progetti comuni tra persone o tra aziende non decollano.

Possiamo rintracciare con buon grado di precisione il problema dell’incomunicabilità nella diversità culturale – un “sottoprodotto” dell’incontro/confronto tra culture diverse – incontro tanto produttivo e ricco di opportunità di crescita quanto aperto a rischi e problemi.

La cultura – nel senso comune – include soprattutto le manifestazioni artistiche di un popolo, ma nelle scienze sociali e manageriali significa molto di più. Cultura, in senso allargato, significa soprattutto un modo di percepire il mondo, di categorizzare la realtà, dare un senso alle cose, alle relazioni, e alla vita.

Ciascuno di noi è un individuo unico nella sua cultura personale, nella modalità di categorizzare il mondo, valutare l’importanza di oggetti e persone, impostare relazioni. Ciò che è importante e fondamentale per me può essere un dettaglio per qualcun’altro, o per altri ancora qualcosa che non merita nemmeno attenzione.

Ognuno di noi ha assimilato nei propri processi mentali le pressioni e gli schemi dei gruppi di appartenenza (etnici, nazionali, professionali, familiari), e assimila parte dei modelli con cui viene a contatto.

La cultura, secondo Shore, può essere considerata una “collezione di modelli”. Nel costruire una relazione nuova, nel negoziare, quali sono i modelli che io uso? Quali sono i modelli che la mia azienda utilizza, spesso in modo inconsapevole? Quali sono i modelli altrui?

La negoziazione, prima ancora che un incontro tra “posizioni”, di divergenze/convergenze sui dettagli, è un incontro/scontro tra modelli.

Con questo volume intendo offrire un contributo che getti le basi per un lavoro sia scientifico che operativo, volto ad aumentare le capacità delle persone e delle aziende nel comunicare tra di loro, consapevoli delle proprie diversità, per poter cogliere il meglio dell’incontro tra culture diverse senza dover subire il lato oscuro della incomunicabilità e del conflitto evitabile.

Comunicare consapevoli delle diversità – comunicare nelle diversità e nonostante le diversità – è un passo in avanti significativo.

Dopo aver trattato i temi di base nel presente volume, esamineremo in prossime pubblicazioni le tecniche avanzate. Del resto, non si costruiscono torri senza aver prima gettato le fondamenta.

Le ripercussioni degli strumenti “fondamentali” qui esposti sono potenzialmente molto forti, per chi opera nelle imprese (imprenditori, area manager ed export manager), per i responsabili di progetti e relazioni internazionali, nella gestione delle Risorse Umane (HR), ma anche per chi opera nel sociale (terapeuti, counselor, educatori), in una società sempre più multiculturale.

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Cinque principi basilari per chi opera nelle vendite complesse

I tanti perché di un approccio consulenziale nella vendita e nella negoziazionenegoziazionevendite complesse

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Quali sfide nasconde una negoziazione complessa? E come affrontarle? Cosa differenzia una vendita consulenziale da una vendita semplice? Quali strumenti possiamo apprendere e mettere in campo?

Imprese e organizzazioni si trovano sempre più spesso nella condizione di condurre negoziati strategici di business o politici, trovare accordi di partnership o di fornitura, impostare piani e progetti complessi. La vendita consulenziale e la negoziazione complessa non riguardano solo il business. Anche “vendere un’idea” richiede doti di vendita e negoziazione, in qualsiasi campo applicativo.

Esaminiamo di seguito alcuni principi fondamentali che ci aiutano a ricentrare ciò che davvero conta nelle vendite complesse e nelle negoziazioni.

  • 1 Principio del Battle Rhythm

consiste nel tenere un “ritmo di battaglia” nella vendita, un contatto cadenzato e incalzante sulle operazioni di vendita in corso, senza aprire troppi cantieri di vendita con il rischio di concluderne pochi o nessuno.

Nello specifico:

  1. Le attività di vendita vanno inquadrate in specifiche campagne e progetti, non lasciate al buon senso individuale o gestite come “progetti vaghi”.
  2. Le buone intenzioni vanno trasformate in buone operazioni, seguendo un concetto di “qualità totale” nella vendita e di Eccellenza Operativa, dove nulla di ciò che conta viene lasciato al caso.
  3. Ogni campagna e ogni progetto hanno responsabilità personali ben identificate, ruoli chiari e non confusi, team dedicati o persone dedicate, obiettivi ben inquadrati.
  4. Le cadenze di operazioni e contatti devono tenere “caldo” il progetto senza mai lasciarlo raffreddare, e portarlo sino alla conclusione.
  5. Ogni linea di vendita va portata avanti sino alla chiusura, sia essa positiva o negativa, e non può essere lasciata aperta a tempo indeterminato.
  6. Le energie vanno focalizzate e non disperse. Pertanto, non esiste una vendita generica ma l’organizzazione di progetti di vendita.
  7. Non esiste un flusso di attività indistinto ma una sequenza organizzata di operazioni (Operations) che vogliono produrre un determinato effetto (Effects-Based Operations).
  8. Le attività svolte entro ciascuna linea di vendita – telefonate, incontri interlocutori, mail, presentazioni, incontri tecnici, commerciali, negoziazioni, visite, pranzi, prove, ispezioni, dimostrazioni, etc. – sono tutte importanti, nessuna esclusa, e vanno sincronizzate tra di loro (principio della sincronizzazione operativa).
  9. Dobbiamo distinguere azioni che preparano il terreno dalle azioni di chiusura, seguire tra esse un principio di Catena degli effetti a cascata (una azione prepara la successiva), che prevede un buon coordinamento tra le varie azioni nella linea di vendita.
  10. Le varie azioni devono essere tra loro coordinate in una matrice globale – Effects Synchronization Matrix – che evidenzia graficamente e in tabelle comprensibili chi fa cosa e quando, e come sono tra di loro collegate le varie operazioni.
  • 2 Principio della distinzione tra ascolto e persuasione

La tecnica della vendita avanzata evolve verso una dinamica di rapporto sempre più consulenziale, dove diventa fondamentale la diagnosi (ascoltare e capire) prima ancora della persuasione pura (esprimersi e convincere).

La complessità dei mercati e degli scenari ci obbliga a sviluppare le capacità di essere attenti ed empatici (capire l’altro), condurre diagnosi del cliente, dell’interlocutore, della situazione.

Questo produce un forte cambio di paradigma, dove prima erano fondamentali le capacità espressive (parlare), diventano essenziali le competenze di ascolto, di diagnosi (saper ascoltare, capire), e quindi le competenze progettuali (studiare e costruire soluzioni basate sulla diagnosi).

Sapere di avere buona capacità di analisi inoltre aumenta la sicurezza nella fase di comunicazione e produce un’immagine di maggiore autorevolezza e assertività. Questo si traduce in un forte incremento della capacità comunicativa e negoziale.

Tutto ciò non è semplice. Ma non è ancora abbastanza.

  • 3 Principio dello stretching comunicazionale e rottura dell’incomunicabilità

In una negoziazione avanzata troviamo tutte le difficoltà, i limiti e le barriere date dall’incomunicabilità umana, amplificate dalle barriere culturali e organizzative, dalle abitudini stratificate, dagli stereotipi, e da interessi contrapposti che spesso sembrano antagonistici, uno contro l’altro. Rompere questo circolo vizioso è un principio basilare.

Una regola fondamentale della vendita complessa è il bisogno di trovare il “Common Ground”, i valori e principi condivisi, sui quali costruire i piani successivi. Ad esempio, chiarire che per entrambe le parti sia importante non solo il prodotto ma l’affidabilità reciproca.

Dobbiamo anche considerare che esiste quasi sempre una componente “interculturale” nel fare vendita e negoziazione ad alti livelli: le persone che interagiscono tra loro hanno culture diverse e regole implicite diverse (anche entro la stessa nazione), ed ancora maggiormente quando si rapportano tra loro manager di nazioni diverse. Questo complica il quadro.

La vendita consulenziale e la negoziazione sono tra le attività più complesse e impegnative svolte dall’essere umano. Durante una interazione di vendita o una negoziazione possiamo assistere ad un incontro tra mondi mentali distanti, culture diverse, stili linguistici e manageriali antitetici, differenti psicologie, scontri tra strategie e tattiche comportamentali, e spesso – ad un livello profondo – la collisione tra visioni del mondo contrastanti, accompagnata da forte incomunicabilità.

Lo stretching comunicazionale permette alle persone che svolgono vendita e negoziazione di diventare più flessibili dal punto di vista comunicativo, saper utilizzare un linguaggio “tecnico” quando serve, e in altri momenti un linguaggio più “manageriale”, ed in altri ancora uno più “umanistico e valoriale”.

Vendere in America Latina, il giorno dopo in Germania, e la settimana successiva in Giappone, non richiede solo un aggiustamento di fuso orario, ma anche di “registro comunicativo”. Passare da un incontro con un dirigente del marketing ad un incontro con il responsabile della produzione, entro la stessa azienda-cliente, richiede ancora una volta una capacità di cambiare rapidamente stili comunicativi e sintonizzarsi su una “modalità di ricezione” adeguata ad interlocutori diversi. Questo ancora maggiormente se più interlocutori diversi tra loro sono presenti entro la stessa stanza.

  • 4 Principio della formazione permanente

Esistono enormi bisogni di crescita professionale e formazione in chi opera seriamente nella vendita e nella negoziazione.

I contributi (libri, corsi) disponibili sul mercato sono condotti prevalentemente in modo semplicistico, puntano ad un lettore/partecipante che si presume sostanzialmente abbastanza stupido, poco consapevole, da ammaestrare, bisognoso solo di strutture preconfezionate in cui essere impacchettati, regole da un minuto valide con tutti, scorciatoie per imbonire un soggetto-cliente che si presuppone manipolabile o sciocco, tutto il contrario di quanto sappiamo essere utile nella vita reale.

La nostra visione è invece quella di un professionista della negoziazione che dobbiamo preparare a gestire incontri con persone di alto livello, per nulla facili da persuadere o da gestire tramite trucchetti.

Questo evidenzia la necessità per il venditore di crescere sul piano prima di tutto personale, morale e culturale, entro una palestra di vita e professionale dalle enormi opportunità, offerta dalla vendita complessa e dalla negoziazione avanzata.

Per farlo, servono strumenti sul Potenziale Umano e non solo un addestramento alla vendita cieca e standardizzata. L’accademia e la ricerca universitaria non aiutano, come dicevamo, snobbando il tema della vendita e della negoziazione, disinteressandosi a quello che è in realtà un enorme laboratorio di scienze della comunicazione, di sperimentazione sulle dinamiche comunicative, e di formazione.

Possiamo allora cercare luce nella manualistica professionale, ma la maggior parte della letteratura e della formazione sulla vendita e negoziazione (nel mainstream, la tendenza dominante) punta a ridurre i fattori di complessità (a nasconderli, a non esaminarli, perché troppo difficili) e questo si traduce nel proporre formulette semplici – “one minute” “fast and easy” – pericolose.

Ma la realtà è complessa, la vendita e la negoziazione sono complesse, la psicologia umana è complessa.

Provate a sostituire un fornitore strategico, e si scatenerà una guerra contro di voi. In termini di comunicazione interpersonale, proverete sulla vostra pelle quanto vi sia completamente inutile accavallare la gamba quando il buyer la accavalla (e altre regole di cosiddetto “rispecchiamento”), o altre bugie semplicistiche come queste, che vengono insegnate in molti corsi di vendita.

Muoversi all’interno di questo ambiente è una sfida per ogni professionista. Gestire una vendita e una negoziazione richiede competenze multi-variate, che provengono da tante discipline diverse e convergono poi in un unico momento: il momento della verità, l’incontro umano, la trattativa, i messaggi reali che ci si scambiano le persone, le conversazioni con il cliente, in azienda, al ristorante, e in ogni momento di verità e vita vissuta.

  • 5 Principio della crescita del Potenziale Umano e crescita personale nella vendita

Non è sufficiente vendere di più (le vendite possono essere in crescita anche per altri fattori, congiuntura favorevole e fattori che non dipendono dal venditore). Ciò che a noi interessa è l’atteggiamento di professionalità, le vendite in cui il risultato è dovuto alla propria preparazione, una conseguenza del fatto di migliorarsi come persone. Ci interessano le vendite nelle quali la persona si esprime e non quelle “facili”, in cui non si può capire quanto valore aggiunto è stato portato dalla persona e quanto sia il suo reale contributo.

Nel terreno professionale della vendita e negoziazione troviamo enormi potenziali di ricerca sullo sviluppo umano e organizzativo.

La vendita consulenziale tocca da vicino il tema del Potenziale Umano e dello Sviluppo Personale – poiché ogni progetto andato a buon fine richiede che l’essere umano che lo conduce funzioni al pieno del suo potenziale, libero da blocchi psicologici e condizionamenti culturali, con un corpo che lo aiuti e non lo freni, e un team che operi in modo affiatato e trovi coesione e comunicabilità interna. Questi risultati sono decisamente importanti sotto il piano del potenziale umano in azione.

La vendita complessa tocca anche, anzi, si compenetra e avvinghia, nei temi di sviluppo organizzativo – poiché una vendita di successo, una negoziazione produttiva – sono il successo di un cantiere di lavoro, un laboratorio di progettazione e azione, entro un teatro di azione che impegna interi team e a volte intere aziende in un unico sforzo congiunto.

Il principio del Potenziale Umano chiede a chi si occupa di vendita una attenzione particolare alla coltivazione del proprio livello di forma fisica e mentale, di preparazione e di spessore morale, e non solo risultati a fine trimestre.

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Articolo Copyright. Estratto dal volume Strategic Selling, di Daniele Trevisanihttp://www.studiotrevisani.ithttp://www.danieletrevisani.com

Funzione di risposta del mercato, soglie percettive e limiti del miglioramento: implicazioni per lo sviluppo del prodotto

percezionesoglie percettive nella venditaPrincipio della crescita del Potenziale Umano e crescita personale nella vendita

Articolo Copyright. Estratto dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione, di Daniele Trevisanihttp://www.studiotrevisani.ithttp://www.danieletrevisani.com

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La funzione di risposta del mercato definisce il tipo di reazione che il consumatore o cliente sviluppa a fronte di un certo stimolo. Nel nostro lavoro, è necessario collegare questa funzione ad alcuni meccanismi che avvengono nella percezione umana, in particolare il fenomeno delle soglie percettive.

La psicologia della percezione identifica due tipi di soglie – soglia assoluta e soglia differenziale – le quali generano altrettanti tipi di prestazione (prestazione assoluta e prestazione differenziale).

La soglia assoluta identifica la quantità minima di stimolazione sensoriale necessaria affinché un particolare stimolo (una vibrazione, un oggetto, un colore) sia percepito da un individuo.

La soglia differenziale fa riferimento al differenziale di stimolazione sensoriale che determina per l’individuo la consapevolezza di un cambiamento, l’accorgersi di una mutazione nello stato precedente. È quindi basata sul concetto di percezione della differenza di intensità.
immagina soglie percettive psicologia di marketing

Questi fattori percettivi devono entrare al centro del processo imprenditoriale di gestione della customer satisfaction. Ad esempio, produrre un miglioramento nelle vibrazioni di un volante (riduzione di vibrazioni) quando non esiste un margine per ottenere un miglioramento percepibile (condizione di ceiling-effect) è un intervento che non supera la soglia differenziale, e sostanzialmente uno spreco di investimenti.

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