Pulizia mentale – perchè è importante lavorare sull’immagine di se stessi

ripensare il Potenziale Umano e la propria auto-immagine

Articolo Copyright Dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, di Daniele Trevisani

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L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Guida tutte le nostre scelte. Ci fa decidere se siamo o meno in grado di prendere un aereo, di parlare in pubblico, di puntare ad un determinato lavoro, piuttosto che evitare perchè “sento di non essere all’altezza”. Questo “Sentire di essere, o al contrario Sentire di non essere” è il succo più profondo dell’immagine di sè.

Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Fare pulizia interiore su quello che siamo e quello che possiamo essere e fare davvero, rivedere chi siamo e il nostro potenziale, significa fare un grandissimo  regalo  a se stessi.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

 

Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea).

Prendiamo queste “autoimmagini”, riflettiamo su quanto di vero o di falso ci sia nel “film” che ci siamo fatti su di esse, e facciamo la maggiore pulizia possibile. Fissiamo chiaramente come vorremmo vederci tra qualche tempo, es. tra un anno. E lavoriamoci un poco ogni giorno. I risultati saranno enormi.

NB….non esitate ad ottenere aiuto da psicologi, psicoterapeuti, formatori, coach o counselor accreditati, ma evitate gli improvvisatori, i coach da baraccone sempre microfonati, quelli capiscono di psicologia tanto quanto un cantante rock ubriaco… e meno capiscono più dichiarano di essere i numeri 1. Alla larga.

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Articolo Copyright Dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, di Daniele Trevisani

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Psicologia delle Performance – 8 fattori chiave da considerare per le prestazioni umane, sportive, manageriali e mentali

La psicologia delle performance è un settore di studio che richiede un approccio multidisciplinare all’essere umano, considerato come unità olistica mente-corpo, in cui nessun aspetto può essere trascurato.

Nella valutazione di base delle abilità mentali di base è stato standardizzato un test psicometrico denominato Inventario Psicologico della Prestazione Sportiva IPPS-48. Una ricerca su 1700 atleti di discipline sportive diverse sia di squadra che individuali e con un livello di esperienza alta, media e bassa – ha permesso di identificare 6 aspetti positivi e 2 negativi in grado di condizionare le performance dal punto di vista mentale.

Aspetti positivi per la prestazione

1) Preparazione gara, 2) Goal-setting, 3) Pratica Mentale e 4) Self-talk

e aspetti emozionali: 5) Fiducia, 6) controllo dell’arausal emozionale

Aspetti che incidono negativamente sulla prestazione

7) preoccupazione e 8) disturbi della concentrazione.

Certamente questo tipo di indagine permette l’ampliamento del ragionamento sulla performance anche a campi manageriali e intellettuali.

 

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Bibliografia

 

 

 

 

Il coraggio dei “piccoli” – video testimonianza di un gatto che salva il proprio padroncino dall’assalto di un cane

La vita è incerta: l’incertezza è la sua natura intrinseca. Una persona intelligente rimane sempre nell’incertezza. La disponibilità stessa a rimanere nell’incertezza è coraggio. La disponibilità stessa a rimanere nell’incertezza è fiducia (Osho)

Bene, e qui vediamo quanto un piccolo gatto possa essere assolutamente e incredibilmente coraggioso e affrontare l’incertezza degli esiti. Le nostre credenze saltano, e questo è bene.

Il video è stato montato partendo dai video delle telecamere di sorveglianza davanti all’abitazione del bambino.

Distinguere i formatori dai ladri di concetti

Tipologia di formatori e chiarezza delle fonti: Nella formazione, si distinguono

  • formatori-ricercatori (che creano metodi propri) e
  • formatori-divulgatori (che divulgano materiali prodotti da altri).

Entrambi i tipi sono utili e interessanti.

  • Tuttavia, chi utilizza materiali e metodi altrui e non cita le fonti, vi truffa e applica il plagio.
  • Non mettere in chiaro quali sono le fonti va a danno del cliente, in quanto non fornisce la trasparenza indispensabile per diventare un partecipante consapevole di quanto va studiando.

Se state cercando qualcuno che vi assista nella formazione per la leadership, nei corsi di leadership e sviluppo manageriale, nella formazione per la comunicazione o nelle risorse umane, chiedete loro se hanno pubblicato i metodi che usano, o a quali fonti o teorie attingono. Sarete in grado di compiere i vostri confronti e valutazioni, senza farvi prendere in giro.

La chiarezza e trasparenza delle fonti che si utilizzano per fare formazione è estremamente importante per noi e per chi ne usufruisce.

Daniele Trevisani http://www.studiotrevisani.it

In http://www.studiotrevisani.it/formatori_per_la_leadership.htm

 

Convivere con le incertezze

Copyright dal volume Personal Energy, di Daniele Trevisani

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Altra strada, è sviluppare l’accettazione di dover lavorare in un sistema imperfetto. In ogni caso, la presa di coscienza su “cosa non va” e “cosa va” deve essere netta, senza confusione. L’eventuale accettazione dell’incertezza e dell’imperfezione cosciente fa molto meno male di quella subìta senza capire cosa non va. Il “dolore sordo” fa molto più male di un dolore portato alla luce.

Dopo questa distinzione, l’azione su cosa va e cosa non va deve essere accompagnata da qualche intervento. Il malessere di ruolo, se forte, non può essere accettato come “intrattabile” o “da sopportare sempre”.

L’aspetto positivo della questione è poter intervenire con training e coaching strategico, non lasciarsi andare alla disperazione o al senso di impotenza e ineluttabilità.

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Come afferma il Santone Pazzo, che poi così pazzo non mi sembra: “No, non esistono sicurezze: questo è il mio messaggio. Niente può dare sicurezza, poiché una vita sicura sarebbe peggiore della morte. Non esistono certezze: la vita è piena di incertezze, piena di sorprese e questa è la sua bellezza! Non raggiungerete mai un momento in cui potrete dire: “Adesso sono certo!”. Nell’istante in cui dite: “Adesso sono certo!” dichiarate solo la vostra morte, vi suicidate.
La vita procede tra mille e una incertezze… questa è libertà, non chiamatela incertezza!” Osho

Lasciare entrare aria fresca nella nostra vita

Sei stanco delle solite cose? Le puoi cambiare. Sei stanco dei soliti posti? Puoi decidere di viaggiare? Sei stanco di te stesso, di come pensi, di cosa pensi? Puoi decidere di cambiare. Ma… Se teniamo chiuse le porte e le finestre, l’aria fresca non arriverà mai…

Riconosci di essere immerso in un acquario esistenziale? Sapresti dire dove sono le pareti di vetro che ti circondano? Incomincia a cercare….

(Daniele Trevisani)

“Ciò che accade è al di là di te stesso, arriva come una brezza. Tutto quello che puoi fare è mantenere porte e finestre aperte. Aprire le finestre non vuol dire che la brezza arriva proprio immediatamente. La brezza non sta aspettando vicino alla finestra, così che tu apri e lei entra, ma una finestra aperta è un invito.
Una finestra aperta dice alla brezza: “Sono pronto: se vieni sarai la benvenuta, non sarai respinta. Sono disponibile”. Perciò, fai solo questo e aspetta.
Piano piano la trasformazione va così in profondità che per la mente diventa impossibile preoccuparsi. Quando ti riesce di procurarti dei diamanti, perdi naturalmente ogni interesse per i sassi.” Osho