Lettera aperta ai miei alllievi

Chi c’era ieri sera a Masi credo sia rimasto abbastanza stordito dal vedere il tipo di test che ho fatto.

Vedere uno dopo l’altro andare giu, andare al tappeto, in 3 secondi, magari con 1 o 2 soli colpi, credo non lo abbiate mai potuto incontrare in vita vostra, dal vivo.

Chi c’era deve sapere che questo test era fondamentale per capire se qualcuno poteva partecipare alla gara del 15 Dicembre, e nessuno ha passato il test.

Credo sia molto più serio scoprirlo in palestra, in un ambiente controllato, che sul ring o sul tatami. Mi aspetto un grazie da tutti quelli che capiscono il valore di questo test, e a cui ho risparmiato le botte, quelle vere, che ti può dare un agonista che incontrerai e che magari non tiene a te e per cui sei solo un nemico da annientare.

Tutti quelli con cui ho fatto hanno enormi potenzialità, ma dobbiamo dare tempo alla tecnica, dobbiamo metterci li con umiltà a trarre qualsiasi insegnamento che i vostri istruttori Cristiano e Nicola possono darvi, per imparare a coprirvi, per imparare a muovervi, a non prendere colpi, pararli e schivarli. Per fare fiato, per allenare ogni possibile situazione di combattimento, sia sul ring che sulla strada.

Tutti sanno tirare pugni e calci ma il vero segreto è pararli, assorbirli senza danni, coprirsi, schivarli, e rispondere in modo tattico.

Dopo questo test spero che tutti si rendano conto che in strada c’è gente che può metterti ko in 2 o 3 secondi e con un colpo solo.

Nei combattimenti spesso anche il più timido dei tuoi avversari tira fuori un’aggressività che non sapeva di avere, è importante imparare a schivare, rimanere lucidi, essere PADRONI A PIENO DELLA TECNICA. Solo allora si può considerare di essere dei FIGHTER.

Questo ci porta sul tema caldo: UMILTA’, PAURA, CORAGGIO.

L’umiltà di capire che la vita intera forse non basta per imparare tutto quello che vorremmo, ma non per questo molleremo. La voglia di migliorarsi, e ogni sera aggiungiamo un piccolo tassello alla nostra armatura, al nostro repertorio, qualche affinamento in una tecnica, che in strada ci può salvare la vita, e in combattimento può fare la differenza tra vincere o perdere.

Nessuno è obbligato ad arrivare a fare l’agonista, da noi, ma voglio che si porti a casa qualcosa di fondamentale: saper difendere se stesso e i propri cari.

La vita a volte non ti da opzioni. Una sera mentre guidi con la tua famiglia, i tuoi bambini e tua moglie, tra 20 anni, vi ferma una macchina di ubriachi, magari perchè secondo loro stai andando troppo piano e vogliono prendersela come solo i vigliacchi sanno fare, con qualcuno che pensano più debole… tu pensi che vogliano una indicazione stradale e invece ti prendono per il collo e ti tirano giu dalla macchina e iniziano a menarti e poi passeranno a tua moglie… TU LI COSA FAI? Ti metti a piangere e gli chiedi pietà? Gli dici che 20 anni prima hai smesso di fare kickboxing o arti marziali perchè una sera hai preso un colpo e hai preso paura? Sai quanti colpi ti darà la vita, anche ben più duri del colpi fisici? Pensi di poter scappare sempre o vuoi farti forte per affrontarla?

Riflettiamo su chi e cosa vogliamo essere, chi e cosa vogliamo diventare, chi e cosa vogliamo amare ed essere in grado di proteggere.

 

Chiediamoci perchè vogliamo affrontare le nostre paure anzichè nasconderci.

La palestra o il Dojo sono il luogo dove 2 o più volte la settimana affrontiamo le nostre paure e i nostri limiti, e così facendolo facciamo onore al fatto di essere vivi. Li, in quelle due ore, affronti solo te stesso, sei allo specchio con chi sei, e lavori per migliorarti e crescere.

 

E’ li che si decide se vali o no. Se non sfuggi a quelle due ore non sfuggi a vivere a pieno. Se sfuggi da quelle, scapperai per sempre.

Questo significa diventare uomini. Questo è il significato più vero del fare arti marziali. A ciascuno la sua scelta.

Daniele Trevisani

Il Coaching Psicologico per le Arti Marziali e gli Sport da Ring

Il Coaching Psicologico per le arti marziali

Allenare la Mente, e costruire il ponte verso i nostri ideali

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

Dobbiamo costruire un modello di noi stessi verso il quale tendere. Un prototipo, un concetto, un’immagine visiva, un modo di essere, che consideriamo un miglioramento, un’aspirazione da raggiungere. Senza aspirazioni, senza riferimenti, senza ideali, l’uomo muore (Daniele Trevisani)

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

Ü Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Ü Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Ü Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Ü Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Ü Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Ü Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Ü Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Ü Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Ü Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Ü Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Ü Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);

Ü Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra.

Ogni autoimmagine non accettata può produrre

–          un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o

–          incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorresti? Cosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Un coaching psicologico si distingue ampiamente da un coaching strettamente sportivo proprio perché riesce a diventare il “ponte” che aiuta le persone ad avvicinarsi ai propri ideali non solo come atleti o praticanti, ma soprattutto come esseri umani che vivono a pieno la loro vita.

Vivere a pieno o vivere a metà? Molti atleti e praticanti agiscono e migliorano solo nel corpo e nelle tecniche, ma non nella maturità mentale e morale.

Chi riesce a generare questa relazione d’aiuto forte, deve essere fiero di sé come istruttore, come Maestro, al di là di qualsiasi aspetto legato all’agonismo, alla forza o alla potenza che possiamo generare nelle persone.

Nulla ha senso in una vita che ha perso di senso. Il coaching psicologico è quindi un motore di motivazione, uno stimolo a migliorarsi da qualsiasi condizione o stato siamo, uno stimolo ad accettarsi per poi tendere verso un piano superiore di ricerca.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

Marketing Percettivo, comunicazione, fiducia: sfide dal mondo dell’intangibile

Comunicazione, negoziazione, percezione, sensazioni…. un territorio delicatissimo dell’esistenza umana. Per alcuni sono i fantasmi dell’azienda…. per altri linfa vitale senza la quale la vita non avrebbe senso e saremmo solo macchine. Possiamo considerarle le molecole di un’aria che ti circonda ma non vedi, odori di un’essenza che non puoi toccare con mano, non puoi controllare, ma senti attorno a te.

Vi sono persone che operano con coraggio su questo mondo dell’intangibile, un mondo con il quale molti evitano di confrontarsi, proprio per la sua difficoltà intrinseca ad essere compreso e catturato, dominato e gestito.

Un mondo che comprende ad esempio “banalità” come lo spessore umano, morale, e intellettuale di chi lavora in azienda (sul fronte interno), o le sensazioni vissute dal cliente (sul fronte esterno).

In un epoca storica di dominio dell’uomo sulla natura, e di negazione di qualsiasi cosa sfugga al dominio e controllo, questo fa male a chi ha soprattutto una visione dell”ultima riga in basso a destra” e non si chiede come si arrivi, esperienza dopo esperienza vissuta dal cliente nel mondo reale, a quella riga in basso a destra nel bilancio.

Oggi gli economisti misurano  la fiducia che le persone hanno verso le imprese, ancor prima del PIL.

Le aziende progredite altrettanto. Le aziende evolute cercano di costruire programmi di sviluppo della fiducia (Trust & Credibility Programs, o altri programmi, sigle o acronimi centrati comunque sul tema della fiducia), basati non solo sulla comunicazione “esterna” ma sui “momenti di verità”.

La comunicazione reale non è fatta solo di brochure, anzi… è fatta di contatti veri, quotidiani, frequenti, con il mondo reale.

Dobbiamo riportare al centro delle nostre attenzioni la “comunicazione di contatto“, quella vera, vissuta, esperienziale, reale. La verità di chi  acquista, quella che hanno e vivono i clienti ogni giorno, nel provare un prodotto, consumarlo, contattare un call center, nel visitare un negozio, o nel fare la spesa, quella vera.

Chi promette “ponti di Pilu” e “Più pilu per tutti” (per usare una metafora comica) prima o poi paga. Come illustra una bellissima canzone

“You can fool some people sometimes, but you can’t fool all the people all the times” – Puoi fregare qualcuno qualche volta, ma non puoi fregare tutti sempre.

Ogni tanto certa politica dovrebbe riascoltare Bob Marley e andare a scuola con umiltà per chiedersi come e quando stiamo creando un capitale di fiducia per i giovani o stiamo – invece – costruendo una generazione senza più fiducia in niente, una generazione di totoscommettitori che non crede più al valore della propria preparazione perchè sfiduciata. Su questo vorrei andare in controtendenza. La propria preparazione e quella delle persone che lavorano in azienda è un capitale. Un capitale intangibile ma solido come il cemento, quando ben costruito, o fragile come un castello di sabbia, quando sottovalutato.

Abbiamo 2 livelli di fiducia basilari:

1 – la fiducia che il personale stesso percepisce verso la propria impresa

2 – la fiducia che il cliente sente verso l’azienda e i suoi prodotti e servizi.

La fiducia deve essere costruita (nei fatti) e comunicata. Una nuova Ingengeria della Fiducia deve quindi occuparsi di come costruire basi e fatti concreti, e come comunicarli.

Ma nessuna Ingegneria sostituirà mai una Sensibilità delle risorse umane verso la volontà di costruire fiducia. Se passo per una corsia di un reparto non mio e vedo qualcosa che non va, non faccio finta di niente. Intervento e basta anche se il reparto non è mio.

Se cammino per la strada e vedo un ubriacone molestare due ragazzine intervengo e basta, anche se quelle figlie non sono mie. Vi sono cose che DEVONO sfuggire al mondo dell’ingegneria e dell’addestramento “step by step” e delle “procedure per ogni cosa”, e dobbiamo portare sul piano della sensibilità personale, di una sensibilità coltivata e aumentata, che fa “fare le cose” senza bisogno che vi sia un manuale a dirlo.

Coltivare sensibilità è molto diverso dall’addestrare. per la comunicazione serve soprattutto sensibilità.

Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali. I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo. Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti.

Qualche rapido esempio sull’importanza vitale della capacità comunicativa: un diplomatico, un Ufficiale, nel trattare la pace, hanno sulle proprie spalle la vita di migliaia di persone; pace e guerra sono da sempre collegate a incomprensioni, incomunicabilità, successi o fallimenti negoziali; un dirigente che tratta una vendita decisiva costruisce il futuro aziendale; di fatto, porta con se anche il futuro delle famiglie di chi lavora in azienda. Ogni sua mossa e ogni sua azione avrà un peso. L’importanza vitale di queste capacità non è una metafora, è qualcosa di tangibile, di reale. Lo abbiamo toccato in ogni colloquio di lavoro, nel quale siamo stati più o meno bravi a presentare i nostri punti di forza, più o meno bravi a capire chi o cosa stavano cercando gli altri, e perché.

Il lavoro di negoziazione non si limita certo al piano delle imprese: l’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensioni. Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali. E non ci fermiamo qui. Come sanno perfettamente i terapeuti, malattia o benessere sono legate alla capacità di negoziare e fissare – tra terapeuta e paziente – un patto psicologico e una relazione terapeutica di successo.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

Anche il marketing può essere visto come pratica di vendita indiscriminata, fine a se stessa, oppure come una scienza che aiuta le aziende a migliorarsi nella capacità di dare risposte ai bisogni dei clienti e consumatori.

E oggi, tra i bisogni più forti, esiste quello della fiducia: sentire di potersi fidare dei nostri fornitori, dei prodotti che acquistiamo, del cibo che diamo ai nostri figli, dei giocattoli con cui trascorreranno il tempo, potersi fidare della parola, di quanto si legge e di quanto viene promesso.

Su questo fronte, il marketing delle percezioni o marketing percettivo, si gioca larga parte della partita per le imprese che vogliono avere un futuro, in quanto costringe le imprese a chiedersi se le percezioni che si creano nel cliente sono positive o negative, e perchè. Costringe le aziende a non limitare la propria visione di sè come “passaggio” di prodotti al cliente ma di ragionare su quale sia il proprio contributo alla creazione di fiducia, senza scaricare responsabilità su altri.

Costringe le aziende a migliorare non solo l’involucro ma la sostanza da cui emanano i propri messaggi: preparazione, serietà, affidabilità percepite sono strettamente collegate alla preparazione vera, alla serietà reale, e all’affidabilità che tocchiamo con mano nelle nostre relazioni quotidiane. Nessuna brochure o pubblicità potrà mai avere il peso, sulla percezione, che ha il comportamento reale o quanto osserviamo in un punto vendita o nei contatti reali con le aziende.

Il marketing percettivo ci porta quindi a contatto con una delle principali sfide: la sfida di chi siamo realmente, dei valori che abbiamo, di come ci comportiamo, di come consideriamo il cliente, e di come riusciamo a far toccare con mano ai clienti un valore assolutamente intangibile: la fiducia.

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Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Communication Research

Noia, routine, dinamismo, passione, ossessione: 5 zone di lavoro per chi vive le arti marziali e gli sport di combattimento

Eccellenza vs Perfezione – l’accettazione dell’imperfezione, la lotta alla noia e alla mediocrità

Concentrarsi su quello che conta davvero

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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I diversi piani di lavoro per chi ama davvero le arti marziali e gli sport di combattimento

Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto o dell’azione, non in finezze snob.

I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca dell’eccellenza. Si tratta di una differenza sottile ma importante.

Perfezionismo e ricerca dell’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sè.

L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato dal talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o testardaggine verso i dettagli inutili. Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon[1], il perfezionismo è una sorta di malattia:

 

“Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetti uno sarà finalmente accettato come persona”.

 

Un coaching efficace dovrà aiutare il cliente o team ad identificare le soglie di valutazione corrette nelle proprie attività, evitando sia le performance scadenti che quelle dotate di attenzioni maniacali non necessarie.

5 zone di lavoro

In qualsiasi allenamento o in qualsiasi forma di lavoro e di pratica possiamo osservare diversi “modi di agire” che poi diventano, alla lunga, “modi di essere”. Ho isolato, per semplificazione, 5 diversi stadi:

 

Fig.  – Zone di lavoro

 

 

 

 

 

 

 

In sintesi:

  • Allenamento dopo allenamento, se dominano noia e mediocrità, arriveremo a svuotare di energie i praticanti.
  • Allenamento dopo allenamento, se domina la routine e non inseriamo variazioni didattiche, non daremo mai stimoli al cambiamento, e le persone giustamente le cercheranno al di fuori.
  • Allenamento, dopo allenamento, se si ricerca la qualità e il dinamismo, porteremo le persone a divertirsi e ad appassionarsi.
  • Allenamento dopo allenamento, se ci concentriamo sui fattori che generano qualità in ogni sua fase (qualità di un riscaldamento, qualità di un esercizio, qualità dello stretching, qualità delle forme, qualità dello sparring, etc…) e applichiamo passione pura, verranno fuori risultati enormi in chi è predisposto, mentre verrà allo scoperto chi è invece semplicemente un perditempo.
  • Allenamento dopo allenamento, se massacriamo ossessivamente le persone su dettagli esecutivi perdendo magari di vista la loro psicologia e la loro motivazione, se guardiamo alla posizione del mignolo e non cogliamo la persona nel suo complesso e la ricchezza del suo repertorio complessivo, la porteremo a lasciare. Non è questo che vogliamo. Sono pochi, pochissimi e rari, gli atleti con i quali ricercare la perfezione maniacale, e durerà comunque per poco tempo.

 

Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “micro-competenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare. Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sull’inutile e sulla superficie.

Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

Il coaching, la formazione, la consulenza, la Maestria, la guida di un Maestro, sono aree di una relazione di aiuto forte, che – quando fatte con passione e serietà – lavorano sul dare supporto individuale, o a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, ed altri ancora da conquistare ed esplorare.

La domanda non diventa se andare avanti, ma come. Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

Un’ultima convinzione e riflessione: l’eccellenza non è materia solo tecnica. L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualcosa.

I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

 

Vivere, essere puri di cuore, e morire

Per rendere immortale il nostro spirito.

Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

 

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Note sull’autore:

 

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

 

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

 

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.


[1] Greenspon, T. (2008), The Courage to be Imperfect: Tom Greenspon on Perfectionism, Northwestern University, Center for Talent Development.

 

Speed Drills 1 – Tecniche per la velocità negli spostamenti

Speed Drills: esercizi per la velocità negli spostamenti. Possono essere applicati con opportune variazioni ad ogni disciplina praticata in piedi o nella fase “in piedi” di diversi sport di combattimento e arti marziali.

ESERCIZI  PER GLI SPOSTAMENTI IN LATERALE
-speed drills in laterale 1: posizionare un bastone al centro della propria guarda, poi saltellare a destra e sinistra mantenendo la guardia, senza dare colpi
-speed drills in laterale 2: posizionare un bastone al centro della propria guarda, poi saltellare a destra e sinistra mantenendo la guardia, in ogni posizione fare una serie di colpi prima del saltello successivo
-speed drills in laterale 3: in posizione di guardia, un aiutante deve far passare un bastone sotto le gambe, ad altezza caviglie, e bisogna evitare di farsi prendere dal bastone

ESERCIZI PER LA VELOCITA’ NEGLI SPOSTAMENTI SULL’ASSE FRONTALE
-speed drills frontale 1: posizionare un bastone davanti al piede avanzato della propria guarda, poi saltellare avanti e indietro mantenendo la guardia, senza dare colpi
-speed drills frontale 2: posizionare un bastone davanti al piede avanzato della propria guardia poi saltellare avanti e indietro mantenendo la guardia, in ogni posizione fare una serie di colpi prima del saltello successivo (saltello più colpi in avanzamento, poi saltello indietro e colpi in arretramento)
-speed drills frontale 3: in posizione di guardia, praticare shadow boxing o forme, in posizione (senza muoversi dal proprio raggio di azione), al primo fischio scarica con spostamento rapido in avanti e colpi, al secondo fischio rallentare e stare in posizione, al terzo fischio scarica veloce con colpi in arretramento, al quarto fischio rallentare e tornare alla shadow boxing o forme eseguite lentamente.

ALCUNI ESERCIZI AVANZATI
Chambara 1: Esecuzione di sparring a vuoto con parate su colpi eseguiti da un aiutante che utilizza Chambara di gomma per aumentare la distanza delle schivate e spostamenti (costringe ad aumentare il raggio di spostamento e di schivata in tutte le direzioni)

Chambara 2: Esecuzione di sparring a vuoto con parate su colpi eseguiti da 2 aiutanti che utilizzano Chambara di gomma, con 2 angoli diversi in continuo spostamento, per aumentare la distanza delle schivate e spostamenti (costringe ad aumentare il raggio di spostamento e di schivata in tutte le direzioni) e aumentare la capacità di percezione laterale.

Speed Flip 1 : rapida serie di cambi di guardia finalizzata a creare confusione tattica nell’avversario, i piedi sfiorano solo il terreno ma non si fermano mai a contatto completo

Speed Flip 2 : rapida serie di cambi di guardia finalizzata a creare confusione tattica nell’avversario, i piedi sfiorano solo il terreno ma non si fermano mai a contatto completo, cui si aggiungono finte realizzate con le spalle e gli spostamenti del busto.

 

… altre tecniche in un prossimo articolo, intanto con queste si possono fare avanzamenti significativi.
un saluto Daniele

Le capacità di comunicazione sono essenziali

Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana. Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.

I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.

Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti.

Qualche rapido esempio sull’importanza vitale della capacità comunicativa:

  • un diplomatico, un Ufficiale, nel trattare la pace, hanno sulle proprie spalle la vita di migliaia di persone; pace e guerra sono da sempre collegate a incomprensioni, incomunicabilità, successi o fallimenti negoziali;
  • un dirigente che tratta una vendita decisiva costruisce il futuro aziendale; di fatto, porta con se anche il futuro delle famiglie di chi lavora in azienda. Ogni sua mossa e ogni sua azione avrà un peso.

L’importanza vitale di queste capacità non è una metafora, è qualcosa di tangibile, di reale. Lo abbiamo toccato in ogni colloquio di lavoro, nel quale siamo stati più o meno bravi a presentare i nostri punti di forza, più o meno bravi a capire chi o cosa stavano cercando gli altri, e perché.

Il lavoro di negoziazione non si limita certo al piano delle imprese: l’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensioni.

Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.

E non ci fermiamo qui. Come sanno perfettamente i terapeuti, malattia o benessere sono legate alla capacità di negoziare e fissare – tra terapeuta e paziente – un patto psicologico e una relazione terapeutica di successo.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

On Becoming a Trainer… Formare i Formatori – 20 passi per crescere

Formare i formatori per le arti marziali, gli sport di combattimento… e ben oltre…

20 linee guida per avere formatori, allenatori e istruttori preparati

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Nessuno è immune dal bisogno di formazione e preparazione.

Anche – e soprattutto – allenatori, istruttori e Maestri – devono considerarsi in costante stato di apprendistato verso un punto di arrivo che – nelle arti marziali – non esiste, una via infinita di scoperte, una via a volte senza molta luce e piena di buche.

Per aiutare a fare un po’ di luce, può essere utile fare un elenco di linee guida, inquadrare quali sono alcune questioni fondamentali della preparazione degli istruttori, allenatori e Maestri:

  1. capacità decisionali (non dilazionare le decisioni che vanno prese, affrontare le problematiche, capire quando arriva il decision time); es: capire quando un atleta va fermato o rallentato perché a rischio di lesioni – e farlo senza tentennamenti.
  2. capacità di ragionamento logico; es: fare ragionare i propri allievi su quali sono i principi di una buona preparazione (costanza di allenamento, qualità dell’allenamento, concentrazione, alimentazione, etc)
  3. capacità di ragionamento creativo; saper inventare nuovi modi per allenarsi, più divertenti, più efficaci, o anche solo diversi dal solito.
  4. atteggiamenti di problem-setting (voler inquadrare i problemi veri e non accontentarsi di falsi problemi o problemi mal formulati); es: chiedersi quali sono le “radici” dei problemi anziché cercare le colpe nelle singole persone.
  5. saggezza decisionale; es: sapere quando arriva il momento di farsi da parte e iniziare a delegare davvero ai propri allievi migliori, farli diventare istruttori, smettere di voler essere al centro di tutto.
  6. distacco situazionale; saper vivere i momenti negativi come momenti e non come un dramma assoluto, far capire che un trauma passa, che le cose possono migliorare, che ci si può allenare anche senza essere campioni-
  7. capacità empatiche; capire lo stato d’animo dell’allievo, voler capire la persona ancora prima dell’atleta
  8. variabili della personalità, es.: introversione vs. estroversione; lavorare sul miglioramento della propria personalità, sui punti deboli.
  9. gestione emotiva; riconoscere e gestire stati emotivi normali e speciali, ad esempio far si che un atleta o praticante sia “attivato” ma non “ansioso” prima di una gara o prestazione, saperlo tranquillizzare.

10.  spirito di ricerca; visitare altri stili e imparare da chi pratica stili e tecniche diverse

11.  locus of control (localizzazione corretta della propria sfera di controllo e responsabilizzazione); capire dove sono i confini della propria responsabilitò

12.  propensione al rischio, valutazione del rischio e atteggiamenti corretti; es: far in modo che i ragazzi e ragazze si allenino senza infortunarsi, che escano dall’allenamento integri, far usare le protezioni, e ogni accorgimento per evitare i traumi inutili dovuti a superficialità degli allievi.

13.  crisis management e capacità di lavorare in stato di crisi; sapere cosa fare in caso di situazioni difficili, es, svenimenti, traumi, crisi personali, persone che diventano aggressive o altri momenti critici che possono accadere

14.  capacità aumentate di apprendimento dall’esperienza (lessons learned); per ogni errore, ricavare una lezione appresa, e non solo vederlo come errore

15.  capacità di autocritica, autoanalisi, spirito di umiltà; sapere di essere i primi a voler migliorare

16.  capacità di rimproverare correttamente e costruttivamente, riprendere ove necessario, dare feedback; dire alle persone come stanno andando, cosa ci piace o non ci piace, avere una comunicazione aperta e sincera

17.  capacità di gratificare, localizzare momenti e tempi in cui farlo; ogni praticante ha bisogno di rinforzi psicologici positivi, darli è un dovere

18.  analisi situazionale e percezione aumentata; stare attenti ai dettagli senza perdere di vista l’insieme

19.  rimozione di manierismi e atteggiamenti di facciata inutili, senza intaccare la cortesia e la correttezza nei rapporti. L’allenatore, istruttore o Maestro che sa farsi rispettare o sa far crescere le persone non otterrà mai questo risultato solo per quanto scritto su un diploma, ma per come riesce a dare esempio personale.

20.  Credere. Credere nel valore sociale di quanto facciamo, credere fermamente nel fatto che stiamo aiutando ragazzi e ragazze a crescere, a migliorare, ad avere un senso nella vita, a riempire di significato le nostre e altrui esistenze. Senza questo, saremmo solo dei meccanici.

Per ogni profilo di formatore esistono esigenze di preparazione diversa.

È importante quindi stendere una precisa wish-list (lista dei desideri) rispetto ai tratti importanti per i profili chiave dei formatori e allenatori in cui un club o gruppo sportivo gioca la sua partita sul territorio. Sbagliare e inquadrare male questi profili professionali dal punto di vista psicologico è drammaticamente dannoso.

È fondamentale anche inquadrare immediatamente chi ha le possibilità di diventare istruttore e inserirlo in un piano di formazione-formatori, per poter contare al più presto sul suo aiuto.

Nessuno di noi da solo riuscirà mai a trascinare una montagna. Ma tanti istruttori, allenatori, e Maestri, possono cambiare le cose lavorando assieme.

La nostra prima preoccupazione deve essere il bisogno di formare dei formatori.

Questo bisogno si estende anche sul piano delle abilità relazionali in palestra, nel Dojo e fuori. Un allenatore preparato sui temi tecnici del proprio stile ma debole nelle capacità necessarie a condurre relazioni umane finisce per allontanare i praticanti, avrà poca strada avanti a se, così come un atleta fisicamente forte ma emotivamente molto fragile.

Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.it – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

Formare i Formatori – 20 passi per crescere

Formare i formatori per le arti marziali e gli sport di combattimento

20 linee guida per avere allenatori e istruttori preparati

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Nessuno è immune dal bisogno di formazione e preparazione.

Anche – e soprattutto – allenatori, istruttori e Maestri – devono considerarsi in costante stato di apprendistato verso un punto di arrivo che – nelle arti marziali – non esiste, una via infinita di scoperte, una via a volte senza molta luce e piena di buche.

Per aiutare a fare un po’ di luce, può essere utile fare un elenco di linee guida, inquadrare quali sono alcune questioni fondamentali della preparazione degli istruttori, allenatori e Maestri:

  1. capacità decisionali (non dilazionare le decisioni che vanno prese, affrontare le problematiche, capire quando arriva il decision time); es: capire quando un atleta va fermato o rallentato perché a rischio di lesioni – e farlo senza tentennamenti.
  2. capacità di ragionamento logico; es: fare ragionare i propri allievi su quali sono i principi di una buona preparazione (costanza di allenamento, qualità dell’allenamento, concentrazione, alimentazione, etc)
  3. capacità di ragionamento creativo; saper inventare nuovi modi per allenarsi, più divertenti, più efficaci, o anche solo diversi dal solito.
  4. atteggiamenti di problem-setting (voler inquadrare i problemi veri e non accontentarsi di falsi problemi o problemi mal formulati); es: chiedersi quali sono le “radici” dei problemi anziché cercare le colpe nelle singole persone.
  5. saggezza decisionale; es: sapere quando arriva il momento di farsi da parte e iniziare a delegare davvero ai propri allievi migliori, farli diventare istruttori, smettere di voler essere al centro di tutto.
  6. distacco situazionale; saper vivere i momenti negativi come momenti e non come un dramma assoluto, far capire che un trauma passa, che le cose possono migliorare, che ci si può allenare anche senza essere campioni-
  7. capacità empatiche; capire lo stato d’animo dell’allievo, voler capire la persona ancora prima dell’atleta
  8. variabili della personalità, es.: introversione vs. estroversione; lavorare sul miglioramento della propria personalità, sui punti deboli.
  9. gestione emotiva; riconoscere e gestire stati emotivi normali e speciali, ad esempio far si che un atleta o praticante sia “attivato” ma non “ansioso” prima di una gara o prestazione, saperlo tranquillizzare.

10.  spirito di ricerca; visitare altri stili e imparare da chi pratica stili e tecniche diverse

11.  locus of control (localizzazione corretta della propria sfera di controllo e responsabilizzazione); capire dove sono i confini della propria responsabilitò

12.  propensione al rischio, valutazione del rischio e atteggiamenti corretti; es: far in modo che i ragazzi e ragazze si allenino senza infortunarsi, che escano dall’allenamento integri, far usare le protezioni, e ogni accorgimento per evitare i traumi inutili dovuti a superficialità degli allievi.

13.  crisis management e capacità di lavorare in stato di crisi; sapere cosa fare in caso di situazioni difficili, es, svenimenti, traumi, crisi personali, persone che diventano aggressive o altri momenti critici che possono accadere

14.  capacità aumentate di apprendimento dall’esperienza (lessons learned); per ogni errore, ricavare una lezione appresa, e non solo vederlo come errore

15.  capacità di autocritica, autoanalisi, spirito di umiltà; sapere di essere i primi a voler migliorare

16.  capacità di rimproverare correttamente e costruttivamente, riprendere ove necessario, dare feedback; dire alle persone come stanno andando, cosa ci piace o non ci piace, avere una comunicazione aperta e sincera

17.  capacità di gratificare, localizzare momenti e tempi in cui farlo; ogni praticante ha bisogno di rinforzi psicologici positivi, darli è un dovere

18.  analisi situazionale e percezione aumentata; stare attenti ai dettagli senza perdere di vista l’insieme

19.  rimozione di manierismi e atteggiamenti di facciata inutili, senza intaccare la cortesia e la correttezza nei rapporti. L’allenatore, istruttore o Maestro che sa farsi rispettare o sa far crescere le persone non otterrà mai questo risultato solo per quanto scritto su un diploma, ma per come riesce a dare esempio personale.

20.  Credere. Credere nel valore sociale di quanto facciamo, credere fermamente nel fatto che stiamo aiutando ragazzi e ragazze a crescere, a migliorare, ad avere un senso nella vita, a riempire di significato le nostre e altrui esistenze. Senza questo, saremmo solo dei meccanici.

Per ogni profilo di formatore esistono esigenze di preparazione diversa.

È importante quindi stendere una precisa wish-list (lista dei desideri) rispetto ai tratti importanti per i profili chiave dei formatori e allenatori in cui un club o gruppo sportivo gioca la sua partita sul territorio. Sbagliare e inquadrare male questi profili professionali dal punto di vista psicologico è drammaticamente dannoso.

È fondamentale anche inquadrare immediatamente chi ha le possibilità di diventare istruttore e inserirlo in un piano di formazione-formatori, per poter contare al più presto sul suo aiuto.

Nessuno di noi da solo riuscirà mai a trascinare una montagna. Ma tanti istruttori, allenatori, e Maestri, possono cambiare le cose lavorando assieme.

La nostra prima preoccupazione deve essere il bisogno di formare dei formatori.

Questo bisogno si estende anche sul piano delle abilità relazionali in palestra, nel Dojo e fuori. Un allenatore preparato sui temi tecnici del proprio stile ma debole nelle capacità necessarie a condurre relazioni umane finisce per allontanare i praticanti, avrà poca strada avanti a se, così come un atleta fisicamente forte ma emotivamente molto fragile.

Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.it – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.